Arsenal – Fiorentina, 27 ottobre 1999

La vita in 10 righe.

Era la fine di ottobre del 1999, avevo 22 anni, mi ero appena lasciato da quello che consideravo con certezza l’amore della mia vita. Mi rifugiavo al cinema, fra le canzoni e i libri e pochissimi importantissimi amici. Lettere sembrava quasi lenire le mie riflessioni sentimentali, offrendomi un campionario di eroine, casi umani, romantici, decadenti, disperati, filosofi nichilisti dalla penna finissima e dalla sensibilitá esagerata dei quali mi abbeveravo con un dolorosissimo piacere. I miei capelli non erano ormai più lunghi e lisci ma tenuti forzatamente corti poichè palesavano già una prima sofferta stempiatura. Non portavo più neanche l’orecchino d’oro a cerchietto, espressione – come i capelli lunghi che mi venivano piastrati adagiato a seni ubertosi di amiche compassionevoli – di una stagione post liceale hippie e sconclusionata. “Stavo bene, stavo male, non sapevo come stare”, come mi cantava a squarciagola Giovanni Lindo ai tempi dei CCCP che ascoltavo al chiuso della mia camera a volume altissimo. 



Non credevo a niente, nessuna consolazione alle ulcere della vita (ulcere…col senno di poi tali le sentivo ma di fatto non lo erano). Stavo sviluppando quel mio pensiero cinico e disincantato che oggi mi caratterizza. Ma c’era Batistuta che giocava per la Fiorentina. La Fiorentina del Trap. Di Cecchi Gori. Di Rui Costa e Toldo. Batistuta. i’Bati. L’unico sportivo di cui comprai appena uscita l’autobiografia prostituendo la mia tracotanza da letterato di quei giorni (erano ancora lontani i tempi di “Open” che racconta la storia di Agassi, più che una autobiografia un capolavoro). Quel giorno, il 27 ottobre, ci giocavamo, in una situazione al solito disperata per noi, l’accesso al turno successivo di Champions League. Dovevamo vincere a Londra, a Wembley, contro l’Arsenal di Seaman, di Petit, di Kanu e di Bergkamp. Eravamo da Giovanni, in uno schieramento di tifosi-amici classico. La partita é giocata alla Trapattoni. Corti coi reparti ed esasperata cura della fase difensiva. Scelta che mi parse francamente opinabile. In campionato avevamo perso col Piacenza. L’Arsenal giocava in casa e aveva due risultati su tre. E cercò fin dal primo minuto il gol della sicurezza. Un grande Toldo, culo e tanta sofferenza. Eravamo ancora miracolosamente sullo 0 a 0, come avremmo potuta vincerla senza neanche provare a superare la meta campo? Succede che al minuto 74 la storia ha voglia di incarnarsi in quel tempio del calcio che da lì a pochi mesi sarebbe stato abbattuto, tirato giù, per sempre. La Fiorentina recupera un bel pallone con uno degli operai del calcio che ogni tanto hanno transitato a Firenze e sono stati molto amati per la loro abnegazione sudata, Rossitto. Con una fitta rete di passaggi e una sacchiana aggressione degli spazi (totalmente atipica per noi e per il gioco del Trap), la palla arriva a Heinrich che ha campo davanti a sè e se lo prende portando palla con lento e insicuro caracollare. Heinrich. Heinrich, “lo stupido” come lo chiamavamo per la sua capacità di fare sempre la cosa sbagliata, un tedescono slavato con la faccia da bambino, comprato e impiegato – anche in quella gara – da terzino destro. E invece in quel momento, palla al piede appena passato il centrocampo, Heinrich non sarebbe neanche nella sua posizione. Heinrich che avanza. Che rompe il suo metodico compitino di basso presidio della fascia. Si intravede una possibilità dopo 75 minuti di assedio subito. Le mie mani si irrigidiscono, i muscoli si contraggono e mi avvicino al televisore, buttandomi di schianto sulle ginocchia, come se preconizzassi qualcosa in fieri. “Passala stupido, quanto cazzo la porti…”, il più generoso degli incoraggiamenti. Heinrich arriva fino alla tre quarti e impostandosi in un goffo movimento per favorire uno scolastico passaggio di piatto destro aperto la passa al Bati. Il passaggio non é preciso ovviamente e una feroce bestemmia squarcia la cappa tesa del clima dell’azione. Bati la stoppa – é troppo defilato. Con un primo controllo rapido, tecnico e potente, salta l’uomo. Adesso è in area, ma purtroppo in quell’area non pericolosa, dove spesso il difensore saggio ti accompagna per non permetterti di fare male, di puntare la porta. Bati quindi messo malissimo. Io sono già sdraiato per terra deluso, affranto dal disincanto e dalla pallaccia di Heinrich “lo stupido”. Ma il tempo e l’azione prosegue. Batistuta é adesso a pochi metri dalla linea di fondo, dalla fine del campo e di ogni sogno. La porta da quell’angolo appare piccola e impenetrabile. L’unica mezza occasione vanificata da un errore del tedesco, “stupido”, costato anche un sacco, mastico amaro. Si, perché Cecchi Gori spendeva. Eppure, accade quel qualcosa che rende la solita deprimente storia dei vinti una imperitura imprevedibile rivincita. Bati tenta infatti comunque il tiro. Gelo. Occhi sgranati alla TV. Il colpo parte a una velocità talmente ineffabile da rendere la comprensione razionale del gesto dello spettatore – già stordito e attonito di quel su e giù emotivo – impossibile. Goal. Il replay mostra e mostrerà milioni di volta la balistica del tiro, scagliato a più di 100 chilometri orari e conclusosi al sette, esattamente all’incrocio opposto al palo presidiato da Seaman. 



Il momento in cui ho percepito, intuito che fosse goal é complicato da raccontare. Ho goduto precocemente. Poi ricordo pugni presi in faccia, urla, una maglia strappata, olezzo di sudore, urla ora fioche ora ferine. Situazioni di non dignità che il Bati ci ha regalo al Camp Nou, zittendo peraltro lo stadio (quanta fiorentinitá in quel gesto), o al quarto gol in due gare, con un mirabile pallonetto a Pagliuca nella semifinale di Coppa Italia contro l’Inter, poi vinta in finale con l’Atalanta grazie a due gol del Bati, ça va sans dire, o al Manchester, o al Da Luz in Coppa Coppe. Quanti altri ne ricordo, sempre decisivi sempre bellissimi. Ma questo, al 74eimo minuto di Arsenal-Fiorentina, al canto del cigno di Wembley, li supera tutti. Mancano però ancora 15 minuti. E in questi quindici minuti si elevano altri 3 protagonisti a presidiare la creazione del divino centravanti fiorentino: due con la casacca viola e un ragazzotto di colore, fuoriclasse sgangherato, sfortunato e atipico, nelle fila dei Gunners. Sto parlando di Rossitto, del portiere Toldo e del centravanti avversario Kanu. Il primo mi avrebbe ricordato Cannavaro gli ultimi 10 minuti della semifinale con la Germania ai Mondiali del 2006. Toldo e Kanu fanno 410 centimetri in due e sono loro a recitare l’ultimo soggetto di questo epico dramma che pare scritto da Ionescu. Tocca a Kanu l’ultima grande occasione per l’1-1, la palla, facile a dirla tutta, che avrebbe consegnato il pareggio alla gara, la qualificazione all’Arsenal e a noi viola un mesto ritorno alla normalità. Kanu calcia a colpo sicuro. Toldo d’istinto, a un metro dal calciante, riesce a pararla. Una esultanza come se fosse stato un gol, una delle parate più eccezionali della storia del calcio, quindici minuti dopo che Batigol, ragazzo di Santa Fe, argentino, novello Dertycia commentava un idiota juventino, 30 anni compiuti e da 10 a deliziare Firenze, aveva appena segnato un gol storico.



Storie nella storia. Quante emozioni in quella partita, come una poesia di Montale: la “Felicità raggiunta”. Come Le Invasioni Barbariche, Tutto su mia madre e Barry Lindon. Come By this river di Brian Eno, Fade Out dei Radiohead, Nomadi di Battiato e Bad degli U2. L’arbitro fischia tre volte. Una santa melodica trinità! É finita. Siamo passati al turno successivo (che ci avrebbe visto ovviamente eliminati repente dal Valencia, peraltro con un gol bono annullato a Rui Costa). Ma non é quello il punto: se avessi goduto della Fiorentina per i successi da albo d’oro sarei malinconicamente vergine. Ma le gioie che la Fiorentina sa regalare nelle singole tappe, nelle battaglie, sono strasicuro che nessun altro tifoso le può capire e provare. Erano giornataccie per me, quelle della fine del ’99. La prima cosa che ho fatto é prendere la macchina e andare a fare un carosello solitario per Pontassieve. In auto a squarciagola “A Tratti” dei CSI (“sono un povero stupido so solo che, chi é stato é stato e chi é stato non é / non fare di me un idolo lo brucerò”) e clacson clacson clacson con qualche spontanea, insignificante, sentita lacrima. Per il calcio si. Senza vergogna e conscio della levità della materia. Perché il calcio mi tira fuori tanto. Perché la vita é fatta di pochissime Arsenal-Fiorentina e di molte partite perse e pareggiate con poche vittorie. Il segreto é sapersi tenere strette nel cuore quelle poche partite uniche, come quella giocata 17 anni fa e vinta grazie alll’ottimismo della volontà e al mio grande eroe col 9 che si oppose, per una volta, al pessimismo della realtà.