Siamo di rientro dopo una settimana a Barcellona. Abbiamo ricominciato con homeexchange, 35 mesi dopo l’ultimo scambio a Briancon, sulle montagne francesi.
Ci voleva. Mi stavo trascinando stancamente con qualche uggia, pensiero e malinconia di troppo e Barcellona, con Laura e le bambine, hanno offerto una buona terapia di detox mentale. Soprattutto il carattere sempre solare ed entusiasta di Matilde mi ha portato a coniare un termine appropriato: Matildeterapia, a base di coccole, risate, e tanto cibo…
E si, perchè Barcellona da questo punto di vista è una città speciale. Non è una città che ti costringe a tour de force per vedere monumenti e musei imperdibili. Ne ha, certo, ma non è Roma, nè Londra, nè Parigi, e questa sua essenza di città senza troppe icone, le permette di offrirsi nella sua anima contemporenea, senza snobismi, colorata, gustosa e molto viva. Quasi un senso di colpa per essere e avere meno, espiato con tanto presente, con tanta qualità della vita, con una sentita ospitalità. Ed ecco i quartieri come Gracia, El Born, le spiagge di Barceloneta, l’Eixample coi suoi vialoni, e, soprattutto, il cibo spagnolo offerto in ogni angolo. Cibo spagnolo e cibo anche internazionale. In questo Barcellona è davvero unica: si mangia bene locale e si mangia bene straniero, in tutte le fasce di prezzo, in pieno spirito catalano.
Eppure, rispetto al passato l’ho trovata un po’ più ferita, sofferente e, a discapito del bel tempo, anche un po’ meno solare, come – a onor del vero – tutte le città dopo la pandemia, problema quindi direi universale. Anche peró piuttosto sporca, con grandi problemi di deiezioni canine un po’ dappertutto.
Fra le opere che ancora non avevo visto, segnalo un innamoramento folle per l’Ospedale di Sant Pau, capolavoro, questo si, e anche assoluto, del modernismo catalano, il liberty spagnolo, che a Barcellona conta opere senza precedenti (dalla Sagrada Familia al Parc Guel, da Casa Batlò alla Pedrera), realizzati da artisti noti come Antonì Gaudi e meno noti, ma non meno grandi, quali Lluís Domènech i Montaner e Josep Puig i Cadafalch, e che si caratterizza per brio, colori, forme sinuose, richiami quasi moreschi nelle architetture esterne e, in contrasto, vorticosi razionalismi negli interni. L’Ospedale Sant Pau, peraltro accanto alla casa dove eravamo, li mette tutti in fila per bellezza: fino al 2009 ospedale cittadino, poi diventato monumento nazionale e patrimonio Unesco in tempi più recenti: oggi è possibile visitare tutto il complesso, ancora preservato nella sua funzione originale di sanatorio e casa di cura.
Divertente anche la visita al CampNou, a trasferire memoria a Costanza di quando il Bati lo violò con un euro gol tacitando tutto lo stadio. Bei tempi, soprattutto se rapportati agli orribili – calcisticamente parlando – attuali.
Infine, plauso alla bontà della cioccolata calda coi churros: prima volta che venivo d’inverno qui, e in ogni bar e caffè si viene tentati da questa assoluta delizia!