In questi piovosi giorni natalizi, di riposo lavorativo, in una Bisarno addobbata per Natale, con festoni, candele e palle giganti, passo molto del mio tempo libero a imbibirmi di storie. Leggo i miei libri – da consolidata prassi più di uno iniziato e portato avanti –, osservo e partecipo alle fantasie delle mie bambine (giochi di ogni tipo, le loro avventure, prove di recite teatrali, scritture di redazioni di fumetti), mangio sapori nostalgici e pieni (il bollito, i panettoni, i tortellini, i vini rossi avvolgenti), riassetto e metto ordine ai cassetti e alle zone di casa – oh, mi fa star bene. Soprattutto, nutro una delle mie più grandi passioni: il cinema. Guardo film: film storici, film appena usciti, film comici, biografie, serie, di tutto. E appena uscito su Netflix ho visto l’ultimo film di uno dei miei registi preferiti, Sorrentino ne E’ stata la mano di Dio.
Lo dico subito con una clamorosa iperbole. Per me è il più bel film che abbia mai visto.
Il film tratta la biografia del regista e della sua giovinezza con la sua famiglia nella Napoli degli anni 80. Io sono fiorentino, figlio unico e un po’ più giovane. La mia famiglia è un pizzico meno teatrale. Ho avuto Batistuta che pur divino non è assoluto per la città come è stato Maradona per Napoli. Ma sono rimasto in uno stato di profonda commozione per tutto il film, commozione credo dovuta alla totale empatia con la storia, alla totale identificazione coi sentimenti idealisti e sognanti, intrisi di letteratura e di una certa voluptas dolendi di Fabio, del fratello più grande, più epicureo ma non mano amaro, della mamma allegra, giocherellona, scherzosa quanto frustrata e con un profondo dolore dentro dovuto al grande tradimento del marito, del papa appunto, il di lei marito (il solito enorme Toni Servillo) ironico ma dolcissimo, della zia bella e pazza perchè senza il dono della maternità (la meravigliosa Luisa Ranieri, l’unico personaggio inventato del film, ha rivelato Sorrentino), del camorrista che fa il suono degli off-shore, della cugina obesa, del suo amante con la voce robotica, nel grande teatro di vita che è Napoli, col Vesuvio, il cibo abbondante, le sue ombre e le sue luci, il suo chiasso, i suoi ritrovi, i monacielli, i caffè, l’arrivo sognato e poi reale del giovane Diego Armando Maradona, che al mondiale 1986 contro i nemici inglesi, segnerà un gol di mano (la mano di dio del titolo) e quello che è poi considerato il più bel gol di tutti i tempi doppietta, tutto concentrato nella stessa partita, grande metafora di Napoli. Commozione contenuta e poi liberata in un pianto catartico nella scena conclusiva del film, il momento di tutti, la crescita inevitabile, nel film un viaggio in treno verso Roma, verso nord, con la telecamera fissa su Fabietto che diventa Fabio, e la musica dolcissima di “Napuli è” di Pino Daniele. Titoli di coda e fazzoletti intrisi delle mie lacrime.
Un film verissimo, forse imperfetto, senza la sublime maniera fra Bergmann e Fellini dei grandi film di Sorrentino come La Grande Bellezza o Youth, ma ancora di più autentico, lirico, intenso. Da guardare e riguardare.
NB. Segnalo altri due film appena usciti. Uno è “Don’t Look Up”. Da guardare assolutamente. Perfetto per esorcizzare i deliri della pandemia. Magari un giorno gli dedicherò un post. L’altro è l’ultimo della Disney Pixar, “Encanto”, molto rivedibile, quel politicamente corretto che stucca un po’, peccato. Comunque, ideale per chi ha figli.