Oggi é stata una giornata vissuta. Carica di azioni e di emozioni. Non trascinata passivamente, come le ultime, in indolenti e stanche riflessioni. Non credo riuscirò mai a far mio l’abusato “vivi come se fosse il tuo ultimo giorno”, ma oggi, sabato 29 dicembre, sono almeno riuscito a maturare un approccio più terrestre e concreto al mio vivere, almeno quando riesco a scuotermi dal mio spleen e dalla mia tristezza.
Una giornata vissuta fin dal primo mattino, con io e Matilde che, dopo la colazione al bar Remo con la nonna, e dopo una visita di potenziali interessati alla casa di mia mamma (altra futura rivoluzione in corso), ci siamo diretti verso Figline per ritirare un piccolo acquisto fatto al mercatino dell’usato. In macchina la solita dolcezza della Mati e la sua curiosa propensione ad ascoltare e a comprendere le “mie” canzoni. Intervallata dalle “sue” Amore e Capoera e Barbie Girl, mi sono soffermato, riascoltandola più volte con lei, su Come é profondo il mare di Dalla. Che pezzo spettacolare. Di libri, e di poesie, senza vanto, ne ho lette tante, molte hanno lasciato tracce indelebili in me, ma sul podio delle emozioni agrodolci – piango, gioisco, piango di nuovo – si situa Come é profondo il mare. Ogni frase é un rapsodia di visioni ed emozioni, suscitate da un uso metaforico e colorito, al limite del surreale e del grottesco, della lingua italiana: “Babbo, che eri un gran cacciatore di quaglie, scaccia via queste mosche che non mi fanno dormire”…
Rientrati da Figline, siamo stati prima da Brico, a prendere dei cavi per una idea di ripristino veterotecnologico che poi avrei attuato con grandi risultati nel pomeriggio, e poi al Vivaio di Rosano, a chiedere informazioni sulla consegna del nocio che ho comprato il giorno del trapasso del babbo e che verrà piantato in sua memoria sotto il fienile di Bisarno.
A pranzo, un corroborante desinare con insalata di radicchio, frutta secca, parmigiano e ginger, gustata con piacere da tutta la famiglia e, nel primo pomeriggio, ho aiutato NonnoCiccio a far passare i fili del telefono: rullo di tamburi, abbiamo finalmente internet in casa! Successivamente, con l’incedere del pomeriggio, mentre fuori la nebbia avvolgeva tutta la campagna, ho ripristinato, dando il la a profonde e nostalgiche epifanie, il mio vecchio impianto stereo, regalo paterno per la promozione in prima superiore. Stava accatastato a casa dei miei e mi è preso voglia di riprovarlo. Ho dovuto penare non poco per ritrovare tutti i vecchi cavi analogici, per attaccare le grandi casse di radica all’amplificatore, e quest’ultimo a un lettore cd e un ricevitore Bluetooth ma la soddisfazione di farlo suonare – ho ripreso vecchi CD del tempo – è stata enorme. Mi ha per un po’ distolto dal velo di tristezza del mio presente. Anche solo girare la ruzzola del volume, avvertirla fisicamente, e sentire i bassi avvolgermi mi ha estraniato in un microcosmo di dolci ricordi, di un me non adulto, inquieto come lo sono ora, con meno capelli e gli occhi più rugosi.
A cena, con le bambine da mia mamma (prima le ha portate al cinema, poi a mangiare a casa sua e infine a dormire tutte e tre nel lettone), io&Laura ci siamo concessi una serata a due a Firenze per concludere, fra le squisitezze cinesi del dim sum, dei noodles e del riso nero, una giornata ricca di sensi – odori, suoni, sapori, contatti -, che ha avuto il pregio di non farmi accartocciare nei miei soliti pensieri neri, mostrando, io a me stesso, come poter affrontare questo periodo. A petto in fuori, facendo.