Fallen flower – Il grande gelo del 7 aprile 2021

Le previsioni lo avevano detto: ci sarebbero state due notti, quella del 6 e quella del 7 aprile, con avrebbero potuto portare le temperature di qualche grado sotto lo zero.

Niente di eccezionale, abbiamo tutti pensato. Ci sta che agli inizi di aprile possa di nuovo far freddo, soprattutto la notte. I miei limoni, tanto, staranno ancora in serra per qualche settimana. A dimora nell’orto non ho messo niente, rispettando i precetti contadini delle mie zone, che suggeriscono di aspettare sempre almeno il primo maggio.

Siamo arrivati ad aprile, peraltro, dopo un marzo eccezionalmente caldo e un inverno mite e particolarmente piovoso. Il che ha favorito fioriture ampie e anticipate: mai come quest’anno ho ritratto con doviziose foto i fiori delle mie piante da ogni angolazione, tanto queste erano belle, vive, ubertose.

La stagione, almeno quella, stava infatti procedendo al meglio, con un anticipo di circa un mese sul ciclo della vita: i noci con le foglie, i gelsi con le piccole more appena allegate, i melograni con le piccole turgide foglioline rosse, i rampicanti già vigorosi, comprese le mie viti per la pergola: finalmente quest’anno avrei avuto una copertura completa! Del resto, siamo tutti a casa, e mai come quest’anno mi sto dedicando a curare il mio spazio esterno, coi polli e i gatti in vigilante (i secondi) e chiassosa (i primi) compagnia.

E la prima notte, quella che doveva essere – delle due – la più intensa, è scivolata pacifica, freddina con minime di un grado sopra lo zero, malgrado i meno due preconizzati. Neanche la macchina, quando abbiamo portato le bambine a scuola, aveva la brinata. “Meglio così” – ho pensato.

Intanto fra le pause dell’intensa giornata lavorativa di mercoledì (videoconferenze after videoconferenze…), scorrendo Facebook e Instagram, osservavo (dal distante, come avrebbe detto Pirandello) il dramma dei vigneron francesi che cercavano di mitigare il gelo nei vigneti dello Chablis e dello Champagne, accendendo falò con la paglia: il fumo acre, basso, eviterebbe il gelo nei germogli di vite. Foto spettacolari e suggestive, ma in realtà una rappresentazione infernale di un dramma economico e umano, perchè non tanto possono i fuochi. Altre tecniche? Irrigare, per far cristallizzare i germogli a 0 e non subire temperature peggiori. Poi ci sarebbe anche dei trattamenti per ridurre la presenza nella pianta della vite di una famiglia di batteri (Pseudomonas syringae), più sensibili alla nucleazione e alla formazione del gelo.

Ma resta l’assunto, per me filosofico, che quando la natura noverca (o il destino) vuole essere terribile e imprevedibile – che sia una grandinata o una intensa e prolungata gelata -, qualsiasi genere animale o vegetale può solo porre argini, più o meno funzionanti.

E in questo caso lo scherzo beffardo della natura è arrivato la seconda notte. Il giovedì mattina mi sono alzato e tutta la vallata di casa mia, fra il fiume e l’abitazione, aveva una spessa coltre bianca. “Azz” – mi sono detto – “questa volta ci hanno azzeccato, le temperature sono scese un po’ sotto lo zero”. Lì per lì non ho notato niente di particolare, solo un po’ di appassitura, che è normale nelle notti fresche.

L’eccezionalità della gelata del 7 aprile 2021, che ha raggiunto per diverse ore i – 6 gradi qui da me, nel Chianti Rufina, si è rilevata il giorno dopo, il venerdì, quando la linfa ghiacciata delle foglie, dei fiori, dei ributti, dei germogli, si è sciolta, lasciando dietro di sè piante bruciate, appassite, spente, vizzose, necrotizzate. Fa male solo a vederle, come testimoniano le foto.

E’ la prima volta che “subisco” una situazione del genere e provo anche una certa imbarazzata ritrosia a farne argomento da blog: per me il giardinaggio, la cura di un orto e dei miei alberi da frutto, è solo un passatempo, un esorcismo per lo stress. Eppure ho provato una forma di sofferenza nel vedere i danni alle piante, danni che hanno vanificato le mie cure, la mia attenzione, il mio tempo.

E immagino le emozioni che i viticoltori, gli agricoltori e i tanti amici che in queste ore hanno visto scomparire metà, se non di più, del potenziale raccolto – di uva, pesche, peri, meli – in un anno già complicatissimo da un punto di vista economico e sociale, stanno passando.

Coraggio. C’è sempre una occasione di riscatto, un fiore che profumerà dolcissimo ancora. Mi torna in mente una strofa de La Ginestra, una delle più belle poesie mai scritte dal Leopardi, dopo la devastazione lasciata dall’eruzione del Vesuvio, avvenuta nei mesi napoletani, gli ultimi in vita prima della fama grazie a versi come questi:

“Or tutto intorno
una ruina involve,
dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
i danni altrui commiserando, al cielo

di dolcissimo odor mandi un profumo,
che il deserto consola. A queste piagge
venga colui che d’esaltar con lode
il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
è il gener nostro in cura                            
all’amante natura”
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