Il fienile e la falena.

Se penso che lo spunto di questo blog sia stato il restauro di Bisarno, con la prima storia della svuotatura dei pozzi neri e la demolizione dei vecchi fatiscenti intonachi apparsa ormai quasi cinque anni fa, mi commuovo.

Parlavo dell’aiuto del babbo, di un folle volo, sentivo l’incoscienza di una cosa molto grande che avrebbe avuto tante implicazioni nella mia vita. Mi sentivo giovane e con in mano la possibilità di forgiare nuove possibilità. E che fantastica avventura è stata – malgrado tutto.

Si, sembra incredibile ma sono passati cinque anni. Nel volgere altalenante di questo lustro la vita ci ha dato tanti scossoni, due bruttissimi, uno bellissimo, e nessuno di questi è attribuibile ai sudatissimi e lunghissimi lavori per restaurare Bisarno che tanto temevamo. Anzi. Le cose sono successe, accadute. Bisarno ha spesso lenito le disavventure e custodito le opportunità. Indipendentemente dal determinismo a cui credevo, e in parte credo ancora.

Siamo cresciuti, cambiati radicalmente. La mia famiglia c’è sempre, quasi tutta, molto più forte di tutto. Abbiamo fatto rifiorire Bisarno e ci siamo aggrappati come edera alle solide vestigia pietrose della struttura. Vivendola, esperendola in ogni suo anfratto e possibilità espressiva. Giorno dopo giorno. Mese dopo mese. Muratura dopo muratura.

Adesso siamo alle porte di un nuovo progetto, senz’altro più semplice: la riproposizione del fienile di Bisarno, quello del portale che fa da copertina del libro, del logo scelto per la casa, da grande simbolo universale di tutto, coi progetti e le maestranze da cercare, coi soldini da racimolare, con nuove preoccupazioni per l’iter inevitabilmente complesso dei lavori: già iniziarli di qui a un paio di mesi è un primo ambizioso obiettivo.

Lo facciamo in questi giorni novembrini, in cui ogni tanto il sole strappa via il grigio piovoso. Abbiamo perso due parenti vicini in un mese circa e tutta questa malinconia mi rende ancora più attraente il rifugio nella casa, l’immergere le mani nel terriccio bagnato e pieno di lombrichi per la semina delle fave, negli odori umidi del primo mattino, dei sapori delle vellutate di zucca gialla e dei crostoni di cavolo nero con l’olio novo. Delle piccole consuetudini che si ripetono da secoli e che mi fanno sentire parte di un tutto, e non una falena talvolta accecata da troppa luce, altre in balia del buio più disorientante.