il primo maggio a lavorare. Quel lavoro che mi piace, che mi fa rilassare e non mi fa troppo pensare che domani é il gran giorno dell’intervento: stare nei campi, zappare, vangare, piantare…
Stando ancorato al presente, come ho imparato, con molta fatica, in questi 8 lunghissimi mesi di terapie e preoccupazioni, di rabbia e paure, di tristezza e pensieri, dopo un’estate recisa al suo culmine, un autunno grigio e triste, un inverno funestato dalla perdita del babbo, e questa primavera che ancora mostra più il suo lato freddo piuttosto che offrirsi al nutriente caldo.
Questa storia, ci dicono, le dicono, ci farà crescere e un giorno sapremo riconoscere quanto bene ci abbia fatto. A lei, a me, alle bambine, al nostro saper stare al mondo.
Oggi preferisco ancora sbriciolare la terra con le mie mani per renderla più accogliente alle piantine da me seminate (pomodori, friggitelli, melanzane), preferisco annusare le aromatiche fregandomene dell’allergia, giochicchiare con le bambine e le loro rosacee biciclettine, raccogliere le fave e assaporarle prima ancora di farle arrivare in casa, ferirmi a tentare di eradicare le erbacce, scoprire dai flebili miagolii la nascita di 3 nuovi micini…
Preferisco non pensare troppo e vivere questo presente così come é, senza farmi troppe domande. Lavorando, il primo maggio. Senza pensarci su troppo.