Il velo di Maya

Il velo di Maya rappresentava per Schopenhauer l’illusione e l’apparenza. Solo strappandolo (esercizio precluso ai più) si sarebbe potuto cogliere la vera essenza della vita.

Non riesco a strapparmi di dosso questo ragnatela di malinconia, tristezza e rabbia. Come una pellicola che mi strozza e mi strizza. Un po’ l’ho sempre indossato – finanche con un po’ di compiacimento, una forma quasi letteraria di voluptas dolendi – questo velo di Maya, ma ora ne sono abbondantemente stufo.

E in passato ero anche riuscito a strapparmelo via, con vitalità e azione, come un cane l’acqua dal suo pelo, e a vivere la mia vita conscio dell’importanza del presente e della consapevolezza di potermi conquistare un po’ di felicità: con gli affetti che mi circondano, con il mio bel lavoro che mi ha portato a girare il mondo, con la sì dura, sì estenuante ma anche tanto elettrizzante e soddisfacente ristrutturazione di Bisarno, la nostra casa di campagna, il cuore pulsante della mia vita e della mia famiglia e mia àncora di salvezza (se non altro per potermi sfogare nel verde con la zappa e la vanga).

Ma ultimamente questo velo di Maya me lo sento sempre appiccicato addosso, come “un ovo sodo che non va né su né giù”. È un velo tramato di pensieri negativi, di paure per il futuro, di rimpianti nostalgici per quel che é stato, condito da un senso di apatia.

Lo sento sempre con me, mentre conduco una degustazione o svolgo una riunione, mentre la notte dormo sonni che mi appaiano tranquilli ma contengono sogni inquietanti, storie contorte, episodi mai piacevoli – non incubi ma situazioni oniriche agitate -, o mentre cerco di immaginare e progettare le vacanze della prossima estate, o nuovi interventi a Bisarno. 

Forse é il mio modo di essere quarantenne, forse sono le situazioni cogenti che sto vivendo, forse é la mancanza del babbo che ha ingrigito il mio modo di essere e di vedere le cose, ma devo davvero fare tanto esercizio mentale per non lasciarmi esautorare dalla pesantezza appiccicosa del velo. 

E se la soluzione fosse conviverci, farselo piacere, questo velo? Scendendoci a patti, come tutti noi dobbiamo scendere a patti con le rughe che avanzano, con le sofferenze per gli abbandoni e le sconfitte, con la vita che scorre e che per strada lascia rimpianti, nostalgie e affetti: non siamo forse tutti avvolti dallo stesso velo? Aggrappandomi al mio ruolo di babbo e aiutando a crescere le mie creature. Alleggerendo il mio ruminio mentale e stando nel presente. Buttandomi in un progetto e trovando il coraggio di seminare il futuro. “Sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo”. Valorizzando le cose belle che, come lucciole, ancora illuminano, seppur a intermittenza, questa notte che ha in sè – li vedo, li sento – i prodromi dell’alba.