Dopo una settimana di atipico sole primaverile, oggi a Bisarno è tornato a spirare il tramontano, il vento freddo del nord che tanto caratterizza la mia casa.
E’ domenica mattina, ancora presto. Sono in torre. Svolgo un po’ di lavoro che mi si è accumulato nell’intensa settimana appena trascorsa, prima di godermi questa domenica comunque soleggiata. Mi cominciano a frizzare gli occhi, a pizzicare la gola: la primavera è dietro l’angolo e sta facendo capolino anche la mia allergia. La stagione è in netto anticipo, malgrado il vento freddo odierno.
Sono spuntate, ormai da un po’, le primule, e ne ho comprate un po’ per il giardino.
Nel nostro immaginario di bambini, le primule rappresentavano le prime uscite fuori dopo il lungo inverno. Le primule spezzano il bruno del sottobosco con le loro allegre fioriture ed è sempre una emozione vederle ubertose vittrici contro gli strali del freddo. Il significato è chiaro: siamo fuori dalla brutta stagione.
Eppure, la loro è una forza concentrata per spezzare via, per ribellarsi, per lasciare poi ad altre fioriture, a piante più durature, la gloria di simbolizzare la primavera.
La loro bellezza è proprio in quel canto di vittoria. Fra le regole spietate della natura alla primula è in sorte di essere bella, disperata e delicata. Di non donarsi se non a chi va oltre lo sguardo distratto. Essenziale per far entrare la primavera, inutile per proseguirla.
Ieri, un sabato tiepido, nel tentativo di astrarmi un po’ dagli strepitii allarmistici di pandemie e minacciate chiusure di questi tempi bruti, ho volutamente perso del mio tempo per dedicarmi a delle primule.
Le ho curate come non curo neanche le loro più nobili e celebrate consorelle, le rose ora coi primi virgulti rossastri, togliendo foglie marcescenti, petali consunti in punta, cambiando il terriccio, concimando la terra, togliendo dal vaso una “forbice” che mi ha anche punzecchiato. Era quasi stranito il vivaista alla cassa del vivaio quando mi sono informato su come “trattare” le primule, allungando una fila già impaziente: “alle primule non gli si fa nulla, durano un mesetto e poi ci sono altri fiori”.
Mi ha fatto bene invece questa dedizione per la primula. Mentre le travasavo al termine delle toelettature Orange il gatto si è fermato impassibile e statuario, quasi a complimentarsi dell’atto squisitamente inutile e dannatamente rilassante che stavo perpetrando.
Le ho messe a contrasto del vecchio muro diruto ed emaciato del fienile di Bisarno, su vasi di terracotta ancorati a dell’antico ferro battuto divorato dalla ruggine. Le rughe secolari del tempo a sottolineare la quintessenza di una vita breve, meravigliosa ed eroica: la primula.
In lontananza, ho sentito filar via veloce un treno. Una ambulanza. E poi di nuovo il silenzio.