In questi frizzanti e tiepidi giorni di metà febbraio, con le piante ricche di ubertose gemme pronte a svelarsi in eterei fiorellini, la mia gattina miagola irrequieta in calore, in un andirivieni continuo e inesausto fra la casa e il giardino, strofinii prolungati contro il pavimento, il sedere rialzato e oscenamente mostrato, fusa continue, cambi di direzione e d’umore. Ne sono basito. Quanto altrettanto basito pare l’altro gatto di casa, Orange, castrato e mite già di suo, che, a osservare siffatto circo, infastidito alza le orecchie e schiude l’occhio impastato dal lungo sonnecchiare con cui passa le giornate: chiamalo scemo…
Ovviamente, il calore della gatta Ida è argomento di continua osservazione e discussione in famiglia, dove io sono l’unico “vero” maschio, escludendo il parzialmente-maschio (è un castrato) felino qui succitato.
Ascolto esterrefatto la decodifica, l’interpretazione del calore felino da parte delle bambine, per le quali è opinione condivisa e conclamata a stridule voci che sia “malata, scema, col mal di pancia, con le pulci”. E mi godo sornione le risposte della mamma, alias la mia dolciastra metà, che tenta di spiegare loro, con linguaggio materno e ampissime metafore, che in realtà in quel momento la gattina è semplicemente posseduta dalla lussuria, scossa dalle voglie e, in sintesi, si farebbe anche le stecche della ringhiera. Del resto pare che in mancanza di felini alla portata, la gatta in calore tenti pure la seduzione dell’umano maschio più vicino, e a giudicare da certi sguardi languidi e libidinosi che mi lancia sembra proprio così…mah!
Il punto è che fuori attende Ida – lo vediamo con chiari segnali di deiezioni e urina davanti agli ingressi che mi costringono ogni mattina a cenciate con lo sgrassatore per pulire – un gattone tigrato tutt’altro che castrato, proprio virile direi, una sorta di gigantesco e vanitoso “Romeo, il più bel gatto del colosseo”, per citare gli Aristogatti, che ogni tanto getta sguardi tumidi e leonini verso la nostra Contessa, e verso anche, a onor del vero, le sue ciotoline del cibo, sempre colme di prelibatezze solide e croccanti.
Sarà quell’essere schivo e taciturno, pieno di pelo e vigore, il mio genero felino? Sarà lui il primo attentator delle aggraziate virtù micesche? Eppure – e di questo mi stupisco – sono proprio io che, fra tutte, apro quella porta, annullo le distanze, mi ergo da dottor stranamore nella dialettica amorosa dei mici, contro le urla disperate delle bambine: “C’è la volpe Diana che la mangia; quel gatto è troppo grosso; non tornerà più da noi”…