La gestione dei lavori in “economia” prevede in questa fase iniziale un solo giorno di lavoro settimanale: il sabato. Un giorno atipico ma che permette anche a me di rendermi utile contribuendo come uomo di fatica: porto via i secchi di intonaci e i calcinacci, mi metto a disposizione per piccoli compiti, provvedo all’acqua, accumulo lo sporco per lo smaltimento, accumulo le pietre delle aree cedute, raspo l’aia… Mi piace trascorrere del tempo sul cantiere: sono fatiche positive, una catarsi dagli stress del mio vero lavoro settimanale. I miei pasti il sabato sono voraci e pantagruelici (“butta 6 chili di pasta”, recitava un mio messaggio preprandiale il primo sabato), il mio sonno giusto, ininterrotto e profondo. Chi era quel console romano che ritrovava se stesso coltivando il proprio orto? Ecco, precisamente, quello del titolo di questo post. Oggi ci siamo dedicati a demolire gli intonaci del modulo al piano terra, affacciato sull’aia con un’ampia finestrona (ex porta ma tornerà a esserlo), che nel passato era utilizzato da stalla e più recentemente da cucina. Dei quattro blocchi che compongono la casa, questo é forse il più recente. La nostra idea di restauro prevede il mantenimento della cucina, ripristinando la porta di dialogo con l’esterno. Il soffitto a travi in legno era stato puntellato con delle longarine (barre in ferro), che si sono affiancate in parallelo alle travi, in un intervento che abbiamo attestato recente, compiuto a metà Novecento circa. Il restauro consoliderà e cristallizzerà questo soffitto povero che denota due stili e due periodi, uniformando in un bianco atemporale sia le travi che le barre di ferro. Questa era una delle stanze per cui mi ero innamorato della casa durante i pochi sopralluoghi che hanno proceduto la lunga ed estenuante trattativa di acquisto: la cucina dove preparare i cibi e, varcata la porta finestra, un tavolo in legno crudo, una bottiglia di Chianti e un ghiotto e chiassoso pasto fra amici all’ombra del pergolato.
Il sugo in preparazione per il 6 chili di paste del mio affamatissimo desinare post-lavorativo. Foto di Sandra Pilacchi. |