Sono in volo – l’ennesimo in questi primi mesi del 2024 – che da Firenze, via Zurigo, mi porterà a Montreal. Poi nei prossimi giorni a Toronto, poi altro volo a Ottawa, ancora altro volo a Montreal e poi, la prossima settimana il ritorno a casa, sempre via Zurigo. Dovrei già aver compiuto circa 20 voli nei primi 5 mesi dell’anno. Non male: anche il secondo passaporto è quasi pieno.
Sono partito in non perfette condizioni fisiche. È da quasi un mese che mi trascino i postumi di una bronchite – erano anni che non la prendevo – e non riesco a liberarmi di una fastidiosa tosse, malgrado farmaci di ogni tipo. Speravo di arrivarci meglio, più in forma, a questa delicata trasferta oceanica ma mi sono giocato tutte le mie carte sulla Milano Design Week, trascurando un po’ la convalescenza, ma non potevo fare diversamente e sono molto felice di come le cose siano andate a Milano: Oro by Ruffino è stato un evento di portata biblica per Ruffino (e per me) e mi ha portato un bel po’ di stress che ha minato le difese immunitarie e ora, anche nei viaggi successivi, ne pago le conseguenze.
E anche mentalmente non sono al massimo. L’ho notato in questa notte agitata prima del volo a casa, insonne, col gatto che mi ha molestato tutta notte. Lo sento adesso nel serpeggiante nervosismo che mi accompagna. Nella latente ipocondria che si affaccia fra i i miei malanni. Nella paura che si insinua al pensiero che fra 40 giorni dovrò dare 3 esami del Diploma tutto insieme – e anche adesso sto cercando di studiare durante tutte le 9 ore di volo. Nelle inquietudini che mi dà il lavoro che non rallenta mai, e io che pensavo che, dopo l’onda d’urto della Milano Design Week, il tutto si placasse un po’: e invece si guarda già oltre, nuove attività, senza respiro.
Lo noto anche in una certa incapacità di godermi le cose belle, che non sono al massimo di testa: nel non considerare in questa fase i lavori per il fienile di Bisarno un fantastico e nutriente diversivo – la costruzione di gustosa bellezza – quanto una fonte di preoccupazione per i costi, sempre difficilmente contenibili, e i mille imprevisti che si susseguono. Nel bearmi meno anche la crescita delle bambine, concentrandomi più sul tempo che passa, e loro non sono più bambine ma giovani donne, e rimpiango già quel periodo. Nella sensazione agrodolce (più agra che dolce) che anche noi stiamo invecchiando.
Però, c’è un però a tutto questo. Che ho imparato ormai da situazioni come queste che si sono rincorse da sempre nel mio carattere. I momenti neri, gli stati d’animo giù, sono sempre serviti. Mi hanno nutrito come uomo, come babbo, come professionista. Mi hanno fatto male, malissimo, e mi hanno reso sgradevole per le persone che tengono a me, ma in un certo senso mi hanno fatto anche bene. Mi hanno permesso di lavorare sulla mia crescita, di avere sguardi più acuti, di imparare a gestire le priorità. Di farmi male per poi apprezzare i nuovi alti. Del resto la vita è una altalena per tutti e ci sono i momenti buoni e meno buoni. E quelli meno buoni siano almeno preparati, seminati, fertilizzati per vivere al meglio quelli buoni e durante quelli buoni dobbiamo tutti imparare a mettere argini mentali verso l’imprevedibilità della sorte. La felicità è fragile. E su questo dobbiamo conviverci. La malinconia che accompagna anche questo viaggio, sono certo, mi permetterà non tanto di viverlo meglio ma di farmi nutrire grazie al movimento, all’aprirsi alle difficoltà, all’incontro con tante persone ad ora sconosciute e che diverranno poi note, allo sfidarmi, al parlare e pensare in una lingua diversa, al mettersi in gioco, ai ritmi alti, che ogni trasferta di lavoro mette puntualmente in gioco. In bocca al lupo a me.