Sono giorni strani per tutti noi. Le scuole chiuse, le strade libere, le piazze vuote. La presenza del virus ci ha costretti a sanguinose decisioni nel giusto tentativo di arginarne la perniciosità e di proteggere i nostri anziani. La paura ha ulteriormente gettato una cappa di negatività e pessimismo. I media, e i social media, anche in quei (rari) casi di cronaca oggettiva, hanno generato ridondanza – virus, virus, virus, virus, virus, virus –. Tutto questo si è miscelato e ha creato davanti ai nostri occhi, e a quelli del mondo, una immagine di Firenze, della Toscana, dell’Italia, profondamente distorta e ingenerosa. Nessuno che vive più, nessuno che vuole venire in Italia, tutti fuori da qui, gli untori del mondo, da discriminare, da non mangiare più il nostro cibo, da non godere più delle nostre bellezze.
Tutto questo non vi fa imbestialire? Io oscillo fra la rabbia e la tristezza. Per una volta dovremmo essere orgogliosi di come stiamo reagendo a una emergenza che è globale eppure appare quasi solo italiana. Sono state prese decisioni complessissime in tempi comunque rapidi e a fronte di un nemico che, se pur non pericoloso in assoluto, è estremamente virale e mutevole. Il nostro sistema sanitario si è ancora una volta dimostrato fra i più efficienti al mondo, gratuito, preciso, costituito da un capitale umano e professionale unico, e riconosciuto come tale unanimemente, non ultimo dall’OMS.
Sono stati effettuati tamponi in numeri esponenzialmente superiore a tutti i paesi europei. Negli Stati Uniti un tampone costa migliaia di dollari. E sì, è vero, i nostri numeri di contagio sono superiori agli altri paesi. Anche ai paesi che ci deridono con la pizza al coronavirus; o a quelli ci fanno sempre la morale contro, sugli immigrati, sui conti pubblici; o a quelli che ci danno di disorganizzati e inefficienti mentre da sempre ci taroccano i nostri prodotti tipici; e potrei fare altri esempi ma non mi interessa più, se non ridestare un pizzico di orgoglio per la nostra nazione che trovo inconcepibilmente basso.
Anche perché nel mentre che gli altri pontificano, noi controlliamo e testiamo, noi prendiamo decisioni difficili, noi cerchiamo di fare il nostro meglio, perchè noi italiani si sta facendo davvero tutto, con situazioni anche auto-imposte che stanno gravemente danneggiando la nostra economia (ristoranti deserti, hotel svuotati, il made in Italy del gusto nel mondo visto come cibo da appestati, nessuno che vuole più venire qui etc), con grande serietà e senso civico.
Quella civiltà che, senza tronfi esercizi di amor patrio, l’Italia ha sempre mostrato al mondo, facendo vedere cosa significa vivere ed elevandolo ad arte: lo stare insieme all’italiana, il saper accogliere, la tavolata, l’osteria, la piazza, il design, l’arte, il bello che si unisce al buono, lo spirito imprenditoriale, dell’aiutarsi spartendo il poco, il riuso. Crescendo sempre soprattutto nelle situazioni di grave difficoltà.
Ed è qui che mi appello: a Firenze nel 1530 si è giocato al calcio (storico) nei giorni dell’assedio di Carlo V, per dimostrare a tutti che si sta comunque bene, si gioca addirittura, anche se si è stremati e affamati. Qualche secolo prima il Boccaccio aveva scritto il Decamerone, raccogliendo storie narrate di chi era in quarantena dalla peste nera a Firenze: nella tragedia, il conforto di una storia che diventa capolavoro. Voglio dire: noi, noi italiani, più di tutti abbiamo il gene della rinascita, della convivialità, dell’intuizione, di poter provare a trasformare questi giorni, spronati dalla forza delle idee.
Non voglio mancare di rispetto a chi sta vivendo drammatiche ore con il proprio lavoro, anzi, sto cercando di capire come poter aiutare, ma penso che le migliori opportunità risiedano adesso: se un giorno rimanesse una persona per nazione del mondo in un’isola deserta e circondata da un mare infestato dagli squali, tutte queste persone di diversa nazionalità si rivolgerebbero all’italiano come loro unica speranza di salvezza. E farebbero bene. Perché se c’è un popolo che può dare prova di rinascita, di adattarsi al cambiamento, di essere geniale come singolo e brillante come gruppo, questo è l’italiano. Il nostro. Poi, da dopo domani, a emergenza rientrata (perché rientrerà!), potremo tornare a ridividerci fra Fiorentini e Juventini, fra rossi e neri, fra guelfi e ghibellini, fra nordisti e sudisti, fra Prosecco e Chianti, in quella che è – e sarà sempre – la nostra straordinaria inconciliabile diversità. Ma oggi, negli strani giorni del Corona Virus, non rinunciamo prima di tutto a proteggere la nostra comune anziana, dolcissima, bellissima mamma, l’Italia.