Questa influenza continua a farsi sentire: la tosse non mi passa, così come un profondo senso di stanchezza addosso. Ci metto anche del mio: non brillo proprio di vitalità e mi rendo conto che sto subendo passivamente questo piccolo problema di salute. Intanto le temperature di questi ultimi giorni di febbraio hanno rotto il muro ideologico dei 20 gradi e la natura, in contrario rispetto a me, sta esplodendo di ubertosa vitalità. Stanno spuntando anche i bulbi di narciso e iris che avevamo piantato con la Mati lo scorso novembre attorno al recinto dell’orto. Pesco e mandorlo hanno gemme gonfie di colori. Le verdure nell’orto hanno ripreso a crescere: il cavolfiore, ma anche i radicchi, i baccelli, le cipolle, gli agli. I gatti si amano e odiano e si graffiano e soffiano: si è aggiunta alla colonia un gattone nero con gli occhi verdi, sembra una pantera: bellissimo quanto misterioso, un po’ la mia proiezione del futuro e… mi ci rivedo pure. Persino i leprotti sentono il clima e corrono in su e in giù lungo i campi punti da vaghezze d’amore. Ho anche riportato all’aperto le piante di peperoncino dello scorso anno, che ho tenuto stipate nel fienile e, questione di giorni ormai, anche gli agrumi dovranno essere portati in giardino: ormai il clima è mite e la notte non dovrebbe più ghiacciare. In poche settimane Bisarno tornerà a essere quel giardino delle delizie che ho con fatica disegnato e progettato, con tutta la sua bellezza e le inquietudini che ci soggiacciono.
Sì, sto soffrendo questa mia diversità col resto del creato. L’inverno ti tiene in casa, ti porta quasi naturalmente a stare chiuso e raccolto in sé, è come se valorizzasse la mia istintiva solitudine. Un isolamento che in alcuni frangenti mi è stato quasi comodo. Del resto, voglia di vedere le persone ne ho avuta proprio poca. La primavera imminente invece reclama vita. Socialità. Condivisione. Gioia. Profumi. Senz’altro mi e ci farà bene, ma per un cultore del “buio” in solitudine come me, riaffacciarmi alla vita, provare a essere “fibra dell’universo”, invece che “ingranaggio che scricchiola” (espressioni di Ungaretti e Montale) un po’ mi inquieta. Mi fa pensare a come tutto si sia spezzato l’estate scorsa, quando c’era vitalità, entusiasmo, condivisione: quel caldo dell’estate scorsa mi brucia addosso, i ricordi dell’assurda e sofferta vacanza in Spagna, le analisi e gli ulteriori accertamente, una caduta dopo l’altra, fino all’inizio delle cure da metà settembre, che perlomeno ci ha instradati verso una direzione, conducendoci verso l’autunno e poi inverno.
Ora c’è da uscire dal letargo, riesporsi alla vita e al sole, al giardino e alle sue delizie.