Agosto non mi piace. Ha in sé gli eccessi di qualcosa che sta già morendo e sguaiato si mostra urlante.
Il 14 agosto dello scorso anno, poi, mentre crollava il ponte di Genova, crollava il nostro mondo, quello che eravamo, e iniziavamo una vertiginosa discesa verso gli inferi (le terapie della Laura, il babbo che mi ha lasciato), dai quali, con la primavera, stiamo cercando di uscire e di riorganizzarci in una nuova vita: più fragile, più consapevole, noi quattro cambiati, ma non necessariamente più brutta.
Non ricordo chi ha detto che non esiste il cattivo e il buon tempo, esiste invece il cattivo e il buon equipaggiamento. Sicuramente l’assunto è un po’ forzato per alcune circostanze, ma reca in sé una bella filosofia che sia io che Laura, e anche le bambine seppur con strumenti di resilienza più istintivi, abbiamo fatto nostra, lavorando sul nostro carattere, sulle nostre emozioni, sui nostri valori…E per sublimare le giornate malinconiche e triste.
In queste settimane la nostra famiglia è accecata della luce calda di agosto, una luce diafana, di pochi contrasti: abbiamo reso Bisarno (o meglio, lo abbiamo riportato a essere) un luogo di accoglienza sotto il segno del bello e del buono: abbiamo i pomodori in piena maturazione, così come tante altre verdure, abbiamo perfezionato la pergola, ci sono delle casse per della buona musica, i sentieri nell’orto, le muraglie a terrazzamento dei livelli, tanti palloni per giocare con le bambine e, almeno personalmente, dopo l’atonia e la frigidità di questo inverno, sono tornato a entusiasmarmi ed emozionarmi per il nostro bel progetto, per far vivere a me, alla mia famiglia, una esperienza di casa in Toscana gratificante e affettuosa, genuina e piacevole.
Esperienza…esperienza…questa parola sta accompagnandomi in un altro progetto, questa volta lavorativo, che assomiglia enormemente a quello fatto per Bisarno, o portato dentro il libro La Toscana di Ruffino: far vivere, attraverso la fruizione, attraverso la riproposizione di alcuni tratti essenzialmente legati alla casa di campagna, o, nel caso di Ruffino, al suo marchio, una esperienza viva e autentica dello stare insieme, dell’ospitalità, con gusto lezioso ma non sofisticato, semplice ma non sciatto. Lo dico sempre per scherzo, ma noi come toscani, ma anche italiani, abbiamo scolpito nel nostro genoma, nel nostro DNA una certa capacità nel fare dal poco il tanto, di creare scenari e contesti unici, di essere innovativi e geniali (il riuso a tavola, il lampredotto, il fiasco, la tavolata), in un percorso millenario che dagli Etruschi passa dal Rinascimento Fiorentino fino alla Mezzadria…
E attraverso Bisarno, il recupero di questa casa antica, la cui origine attestata è del 1256, in mezzo a una strada etrusca, abitata da contadini che la hanno plasmata col necessario e con quel poco che avevano (come non pensare alla facciate a pietra e mattoni?) creando un capolavoro di accoglienza e bellezza, si sono aperte in me delle sinapsi che mi hanno portato a scrivere il libro, a questo blog, alla pagina Instagram, e che sono state accolte anche dalla mia azienda, da Ruffino, per un tipo di lavoro estremamente simile a quello che concettualmente ho cercato di portare nel restuaro di Bisarno.
E in questi giorni di agosto che non mi piace, di agosto di tristi ricorrenze, di malinconie e di cupe vampe, questo esercizio mentale mi sta aiutando molto.