La mia passione per tutto ciò che è verde e “coltivato” sta dilatandosi: alberi da frutto, la siepe delle aromatiche, le due vitine della pergola, i miei peperoncini in vaso, la semina del prato… Tutto mi sta entusiasmando. “Checco – manca solo l’orto” – mi dico.
Ahimè, il problema è che ho una visione dell’orticoltura molto letteraria e speculativa. E una totale incapacità manuale. Sono stato sempre più attratto dagli orti giardini dei palazzi arabi, o da quadri lisergici e visionari come Il giardino delle delizie di Bosch, o da orti cinti da bordure barocche e fontane idilliache, piuttosto che dall’idea del campo coltivato con sudore come vedevo dai miei nonni. E soltanto a prendere in mano una cesoia, o una vanga, vado in tilt, e rischio di ferirmi.
Allora, l’ho presa di anticipo questa voglia di orto, optando per lo studio e per il passo precedente: la germinazione in un semenzaio. Si, invece che piantare piantine già formate nell’orto, mi sono attrezzato per la semina in casa in un semenzaio, che altro non è che il piano più alto della casa, ancora da arredare, la torre.
Quindi, dopo sudate letture alle carte, alle auctoritates (“ll piacere dell’orto” di Slow Food e “L’orto di un perdigiorno”, di Pia Pera), ho comprato un bel terriccio leggero da semina, ho cercato nel mercato semini di piante di cui sono ghiotto e che non dovrebbero fare particolari scherzi (neanche a un novizio come me) e mi sono alfine industriato per trovare dei contenitori che facessero da culla per le piantine prossime venture.
E che culle ho trovato? Avevo nel fienile delle vecchie cassette da ortolano, del 1982, più solide e anche più belle di quelle attuali: erano intrise di deizioni di piccione e topi, ma con una bella bruschinata con testa di scopa rotta, e successiva sistolata, sono state restituite a nuova vita, altro che Piazza della Repubblica! Le ho portate diligentemente su in torre (con l’aiuto entusiasta delle bambine e gli improperi feroci della Corsi che per la torre preconizzava un destino diverso, il suo studio legale en suite) e mi sono dato da fare: le ho riempite di circa 6/7 centimetri di terra, con un lapis ho fatto una trama di chirurgici buchini, con precisione ho riempito ogni buchino con due semini, e poi ho irrorato ogni buco inseminato con dell’acqua, attraverso una siringa. Tutto questo con le bambine quasi emozionate per la sacralità con cui avevo vestito questo momento nonchè sdegnate per l’odore acre di tensione e sudore che imperlava la mia fronte.
Le piante scelte per questa mia avventura da filosofo germinatore sono il popone a polpa bianca (a me e alla Mignola fa impazzire), i carciofi provenzali – a ricordo dei nostri frequenti iter provenzali – le melanzane violetta fiorentina (scoperte lo scorso anno al Florence Folk Festival!), i pomodori principe borghese e costoluto – sì, lo so, siamo in clamoroso ritardo ma ci proviamo lo stesso – e, infine, i cavoletti di Bruxelles (ahhh, cavoletti di bruxelles…).
Adesso non resta che dare tempo al tempo e sperare che i semini diano i virgulti. E per dirla quasi col Pirandello, sei semenze in cerca di autore!