Scrivo queste righe dopo un paio di settimane del nostro rientro da Napoli. Ho passato dei giorni incantevoli a Napoli, non come turista ma come viaggiatore, fruitore, curioso esploratore. COme piace a me. Alla mia compagna. Alle mie bambine che si sono prestate con entusiasmo a camminate di decine di chilometri nella città arroventata di fine luglio. Ho trovato un teatro umano, cultura popolare, alti e bassi. La Napoli che sta sotto che vibra come quella che sta sopra, l’abuso che incontra la rovina millenaria, l’opera di ingegni finissimi, dall’illuminato principe settecentesco Di Sangro e del Sanmartino del Cristo Velato ai sapori di Via dei Tribunali e di San Biagio dei Librai. La libreria di Benedetto Croce nell’atrio di un palazzo sottratto al chiasso, dove trova vita L’Ospedale delle Bambole, una creatura che solo a Napoli può trovare vita. La Napoli dei munacelli e degli spiriti, delle anime sospese e della magia. Una bufala addentata in Piazza Nolana nel mercato magrebino. Le pizze con quel cornicione enorme. Il pesce fritto da Borgo Marinari. La calamarata e la colatura di Alici con la pasta di Gragnano. I mosaici sott’acqua nei Campi Flegrei, l’ingresso dell’inferno dal lago Averno, il teatro greco da un appartamento bombardato, dopo essersi fatti strada fra i venditori di calzini e i panni stesi. I caffè. Quanti caffè. I babà, le pastiere, le sfogliatelle. Quanti babà. Il traffico quando provavo a uscire con la macchina. Le chiese barocche, splendide, cupe, caravaggesche. Il chiasso che quasi nasconde quello che facevamo noi, sudati felici immersi in quell’atmosfera fra statuine del presepe, corni napoletani, il naso di Pulcinella, le cisterne della città greca, prima ancora che romana, che “no, noi siamo greci, i romani hanno fatto un po’ come i cinesi: copiato tutto”. Le sartorie di via Toledo, dove ho comprato una coppola, una giacca e un pantalone, e mi sono sentito per un giorno “dotto'”. La metropolitana con le fermate che toccano le rovine archeologiche, che parlano al presente in una operazione ardita e riuscita di cucitura temporale. I mosaici di Pompei ed Ercolano visti dal Museo Archeologico con una guida d’autore: la prospettiva, il sentimento del tempo che fugge, tutto anticipato in quegli sbalorditivi tetris di pietruzze che arricchivano i pavimenti delle ville sepolte e distrutte dagli strali dell’Etna, quello che ispirò Leopardi nella Ginestra, Leopardi che visse 4 anni e si confuse col popolino, che lo chiamava bonariamente il Ranavuottolo. La Napoli di Vico e dei ricorsi storici, del tutto cambia – niente cambia, delle musicalità dolente e ritmata. Della città più complessa e affascinante che abbia mai visto.