Un luglio “matto e disperatissimo”.

Ne “La meglio gioventù”, film di Marco Giordana secondo solo a “Novecento” di Bertolucci nell’affrescare la storia contemporanea del bel paese, c’é una scena, alla fine, che a suo tempo mi colpì molto: uno dei protagonisti, il banchiere alla Banca di Italia, si innamora di un rudere nella campagna toscana e ne affida il restauro all’amico di una vita, operaio, con cui, da studente, l’altro già in fabbrica, aveva condiviso le lotte sessantottine. E’ una scena molto forte che più volte mi é tornata a mente in questi primi sei mesi di restauro di Bisarno. Mi immedesimo in entrambi i caratteri, pur sentendomi più vicino all’operaio che sente il carico, la responsabilità di una direzione lavori complessa, costosa e impegnativa e che, tuttavia, ripudia con sdegno soluzioni di restauro poco rispettose, come i proverbiali infissi in linoleum, segno del pessimo gusto imperante: “No, in linoleum no” é proprio il titolo con cui é indicizzata la scena. Però mi ritrovo anche nel coraggio e nella temerarietà con cui il banchiere tenta il recupero di un rudere abbandonato in mezzo al bel niente, malgrado abbia avuto introiti ben differenti dai miei per sostanziare il suo sogno (quindi una sfida meno complessa della nostra). E cerco di ancorarmi alla passione di entrambi perché ogni giorno Bisarno pone delle situazione vischiose e tortuose e l’approccio mentale con cui le affrontiamo é davvero determinante. 

Sei mesi dicevo. Un mio amico mi chiedeva in che percentuale il restauro fosse compiuto. Se la dovessi computare, questa percentuale, finirei per restarci male.
Deinde, eludo: “Non so dirti, comunque il camino è venuto davvero bene, le ciliegie deliziose, la gatta ha figliato e le bambine godranno delle camere più suggestive del podere, dove abbiamo riesumato anche antiche feritoie medievali…”.
“Quindi? A che punto siete?”:  A che punto siamo? Siamo in una fase obiettivamente stagnante e pastosa in cui dobbiamo per forza accelerare: al gruppo su Whatsapp di Bisarno ho parlato della necessità di un luglio “matto e disperatissimo”, come diceva Leopardi per i suoi studi: da domani a fine mese vorrei poter dare una percentuale più alta di quante ve ne siano che la Fiorentina vinca lo scudetto la prossima stagione, per quanto elevate dalle scorribande di Kats sulla fascia. Finire il tetto e anche un po’ di facciate entro il 31. Intanto, in queste ultime settimane ho osservato come si ripristina una antica muratura a faccia vista: una delle fasi più affascinanti è la rimozione, delicata, delle precedenti murature di giunzione. É un lavoro che chiede tempo, protegge le vecchie pietre, riscopre vecchi fori pontai, fa affiorare zone malmesse e scopre nidi di ogni creatura pensabile e impensabile. Infine un idro-lavaggio a ripulire le polveri e detriti rimossi prima della pars construens, che potrà essere più o meno ricostruttiva (the less, the better: più si mantiene meglio è): eventuale sostituzione di pietre e mattoni, poi muratura profonda delle giunzioni, infine stuccatura di superficie (per trovare il tono e il colore che mi piacesse è stata un’impresa, come ho scritto qui), che non sia troppo emergente, non a filo pietra ma rimanga incassata, per lasciare dominanza alla pietra e per evitare l’effetto ragnatela che spesso affiora da stuccature troppo marcate in edifici in pietra.



Qui siamo quasi alla fine del restauro a faccia vista: dopo la stuccatura,  un idropulitura riporterà a vita pietra e mattoni.
Ci vuole moltissimo tempo e bravura, sensibilità per quello che si fa, ma ogni porzione restaurata è in fine un capolavoro che esprime e rispetta il lavoro storico, i colori lapidei e del suolo, riproposto nelle stuccature, e il sapere artigianale di chi, secoli fa, murò le prime pietre e che a lavoro ultimato rivivono nella stessa concezione architettonica che ebbero persone che ci hanno preceduto di quasi 800 anni.