S’io fossi resina, ar(re)derei Bisarno.

La fioritura prosegue.

Avevo una voglia che mi era rimasta fin dal 2008, anno di restauro della mia casa di San Francesco: la resina. Al solito, ho dovuto combattere con le infinite reticenze di chi vede nel mio restauro, inclusa questa scelta, uno stupro irrispettoso. Eppure la continuità contemporanea all’abitare della casa di campagna rappresenta una volontà di rispettoso e facondo dialogo col passato. Non mi piacciono le pedisseque riproposizioni museali un po’ facili che spesso si vedono. L’idea di dotarmi di un “non materiale” come la resina vuole proprio sottolineare, andandone in rispettoso sottofondo, le tante vestigia delle architetture contadine che saranno ben presenti e cardinali nel recupero di Bisarno. Penso ai lisi soffitti a travi in legno e tabelle in cotto. O alle vecchissime porte in legno, che il mio suocero sta “restituendo a nuova vita” e che continueranno il loro ciclo di vita intersecandolo con il mio, e poi superandolo fino a rappresentare un po’ di me quando non sarò più in questo pianeta: un aspetto che mi affascina molto quando rifletto sulle strutture portanti di Bisarno. O ad alcune architravi in legno. O alle vecchie aperture. O al forno del pane e ai suoi significati aggregativi. O alle mensolature col cotto storico a davanzale interno di molte finestre – cotto storico che peraltro continuerà a vivere nella piccionaia e nel soppalco del bagno. O alle cementine degli anni Venti che adesso sono le piastrelle del bagno ospiti al piano terra, una delle stanze già rimesse. Insomma, la resina volerà leggera e immateriale su queste strutture antiche e atemporali. Altri impiantiti, a mio modestissimo parere, avrebbero significato poco (penso al gres, sebbene se ne vedano di meravigliosi), o avrebbero introdotto una discrepanza di significati (penso al parquet, sebbene in assoluto costituisca la finitura più bella) o rappresentato una riproposizione un po’ troppo scolastica (qui penso al cotto toscano, splendido peraltro, una vera pagina di artigianalità toscana e che ho mantenuto comunque in alcuni ambienti). 

Quindi, carico di queste ponderate considerazioni mi sono approcciato al mondo resina. Scoprendo al solito una infinità di complicazioni nella semplice decisione okvogliolaresina che rendono questo materiale tanto sintetico quanto naturale – un pieno ossimoro materico – ancora più affascinante e complesso. Sì, perché la resina non deve essere una alternativa fra le tante altre da scegliersi come dal gelataio si opta per i vari gusti, ma si deve avere certezza di volere andare con la resina e affidarsi a un decoratore che ne possa far emergere, come in una tabula rasa (una tela da pittore) delle partiture molto originali e che saranno uniche, proprietarie e sinestetiche degli ambienti in cui sarà posata. Quasi fosse un’opera d’arte in-site specific. Per adesso penso di aver trovato la persona giusta con la quale abbiamo iniziato una discussione tecnico – estetica sulle varie opzioni di resinatura. Se son rose fioriranno…