Siamo ripartiti: dopo una settimana di stagnazione burocratica e una empasse sulla organizzazione del lavoro, abbiamo ripreso con maggiore forza e ancora più braccia per accelerare i lavori sul tetto.
In questi giorni però non sono stato fermo (ci mancherebbe!) e mi sono dedicato a uno degli aspetti che parrebbe marginale o perlomeno non prioritario ma che mi regala grandi energie ed entusiasmo fondamentali, ovvero il tentare di dare una logica di movimento e destinazione alla zona esterna, quella che scivola verso fiume sotto il fienile e la porcilaia. Ci sono dei metri di terreno, pochissimi, in pendenza talvolta brusca, che erano precedentemente lasciati all’abbandono.
Noi avevamo già fatto una prima opera di pulizia delle erbe e arbusti infestanti, poi avevamo tagliato le erbacce con un tagliaerba, dopodiché ci siamo messi a ripulire dai rifiuti abbandonati. Infine, aiutati da una ruspa, abbiamo spianato di qualche centimetro le gibbosità: un lavoraccio.
E questa mattina di sabato, ancora una volta perturbata e fangosa, mi sono messo a “disossare” dal terreno lavorato le tante formazioni lapidee, sassi e rocce, che sono affiorate dal terreno smosso: serviranno per nuove murature, muriccioli, il lastricato dell’aia che é ormai incompleto e dei recuperi di parti danneggiate. Fa uno strano effetto osservare da vicino le pietre, mentre tento di riprendermi un minimo dal sudore umido che mi bagna: è un piacere riconoscere il galestro, che ogni volta che lo lancio si sgretola in scaglie di un grigio acceso. Poi c’è il colombino, col suo marrone caldo, cupo, poroso. Il sasso di fiume, piccolo e stondato dai flussi delle acque. La pietra serena grigia. L’alberese, peraltro dominante anche come materiale costruttivo nella casa. Poi la mia preferita, “innominata” perché nessuno mi sa dire con certezza cosa sia e che dovrebbe essere un alberese ma è ricco di striature dal giallo canarino al giallo ocra molto atipiche: bellissima, sembra raccontare coi suoi scarabocchi cromatici la sua formazione millenaria. La terra che le custodiva è cupa, carica, grassa: dovrebbe essere molto argillosa. Nel mentre delle mie fatiche – sono sporco di fango fino agli occhiali – due gatti si danno da fare (temo una prolificazione a breve di micetti, a meno che stiano solo giocando, ma i miagolii di lei me lo farebbero escludere, oltre alle convulse e sgangherate ancate dell’agitato maschietto), il ciliegio sta dando le prime ciliegie – sane, profumate, buone: è la prima volta che mangio un frutto della mia proprietà, una bella sensazione), un fagiano maschio è sempre qui con me a farmi compagni, con merli, storni, gazze e colombe ad allietarmi col loro cinguettio. Avverto una gradevole sensazione di panismo che pensavo esistesse solo come atteggiamento forzato e letterariamente costruito nei libri di poesia, fra Virgilio e D’Annunzio. Invece no!
Ecco qua la mia pietra preferita! |