Il Bisarno è davvero oltre la Sieve oggi. Scrivo dalla pineta di Roccamare, a pochi metri dal mare limpido e azzurro della Maremma. Un luogo dove riposare e silére, trovare pace, dopo gli ultimi mesi in corsa folle.
Di sera, la risacca sulla spiaggia. |
Abbiamo finalizzato l’iter di acquisto di Bisarno il 30 dicembre, entro l’anno 2015, per assecondare una delle tante esigenze del venditore. Da quel giorno non ho mai avuto modo di fermarmi e di riflettere, anche solo per il piacere di gustarmi il ricordo, il sapore di certe soddisfazioni che obiettivamente non sono mancate. Infatti i lavori di restauro sono partiti quasi subito. Idem le maglie burocratiche, i garbugli amministrativi, le magagne economiche. Immediatamente Bisarno ha regalato gioie e al contempo creato complicazioni. Erano peraltro gli stessi frenetici giorni in cui dovevo concludere il libro – i più “matti e disperatissimi” – e fra le altre stavo incontrando gli editori per discutere la pubblicazione. Il libro è finalmente uscito a marchio Cucchiaio d’Argento in anteprima ad aprile al Vinitaly, per poi approdare nelle librerie il 25 maggio. La sua promozione ha mangiato da subito energie, bruciato adrenaline, provocato entusiasmi: nè più nè meno che la sua lunga gestazione, 18 mesi, forse qualcosa di più. Il lavoro di ufficio nel frattempo chiedeva testa, entusiasmo e presenza: non potevo dedicarmi solo al progetto. Ogni tanto qualche trasferta all’estero o fuori regione ad arricchire, a complicare, lo scenario: il Vinitaly, Düsseldorf, Roma, Milano. Poi l’ultima settimana, quest’ultima settimana, a cavallo fra maggio e giugno, che mi ero calendarizzato con attento studio: un incastro di momenti, occasioni e impegni che pensavo perfetto e invece a posteriori é risultato fallace, implodendo, proprio a causa della sua stessa apparente eccellente definizione. I fatti: decido di operarmi agli occhi col laser (sono, ero!, molto miope) al seguito di una visita con un chirurgo appena conosciuto dopo che per anni avevo nicchiato, tentennato e diffidato di tutto e tutti. Scelta d’impulso e io d’impulso di solito non deieziono neanche. Il giorno è scientemente fissato per il 26 maggio, proprio l’indomani la grande soiree del 25 al Mercato Centrale, la prima de “La Toscana di Ruffino”, di cui ho già raccontato. “Così” – mi ero esaltato della mia stessa capacità di razionalizzare – “l’onda emotiva sarà focalizzata sul 25 e arriverò all’operazione senza carichi di stress, senza pensarci troppo”. Illuso. Comunque, presentazione che va a meraviglia, non faccio neanche tardissimo la sera, ma a letto un non so cosa – l’adrenalina di rilascio e la tensione preoperatoria – mi impedisce di dormire. Mi opero l’indomani di buon mattino a pezzi: assonnato, cisposo, con una punta di mal di gola, convinto erroneamente di affrontare poco più di un intervento ambulatoriale, sottostimando non tanto l’hic (durante male non si sente, se non l’odore stile pollo sul gas dei miei occhi bruciacchiati dal laser) ma il post, i giorni che stanno seguendo, le imperfezioni della vista. E non é che dal giorno dopo si veda meravigliosamente bene, ecco. “Mica siamo macchine” – ha chiosato l’oculista alle mie prime ansiose domande. Ma io non posso stare fermo, ho tanti impegni incastrati: l’agenda era ancora carica di impegni. Il venerdì, the day after, torno già in ufficio; il sabato accolgo con grande piacere degli amici genovesi in tenuta e a giro per la Toscana. Poi la domenica volo a Parigi per tre giorni di lavoro sotto la pioggia battente (e subito si innestano tipiche paure sorelliane, in questo caso da vista non ancora perfetta, acuite dalla lontananza e dallo sradicamento dal nido). Il martedì 31 maggio rientro su Peretola e da Firenze a casa guido io. Avevo del resto guidato già dopo 24 ore dall’operazione. Le gallerie al buio sono fastidiosissime e amplificano le mie paranoie. L’indomani, il primo giugno, a una settimana, controllo in clinica (“tutto bene ma ci vorrà del tempo per la vista ottimale”), pomeriggio in azienda e la sera un’altra botta di emozioni, con la presentazione de “La Toscana di Ruffino” a Pontassieve, fra gli amici di sempre, la sala gremita, le luci accese a non farmi vedere niente ma un momento davvero intenso, “proustiano”, con nostalgie di un passato andato, il professore del liceo, una presentazione che si è fatta chiacchierata e da lì una merenda, una bevuta. A notte tarda il rientro e, il giorno dopo, la partenza per il mare dove mi trovo ora, a cercare di dare un significato alla parola convalescenza, a godermi le creazioni più belle di questi anni intensi, Costanza e Matilde, e a riposizionarmi su ritmi più umani e, last but not least, su una vista ripristinata e soddisfacente. Per qualche giorno, senza rumori. Silére. L’anno è solo a metà e c’è ancora tanto da fare.
La pancia e l’ombelico. |