Aeroporto Toronto Pearson. Quattro giorni, cinque col rientro, che sono stati lunghissimi e brevissimi al contempo. In Canada sono sempre sommerso dall’entusiamo e dall’accoglienza di un paese favoloso, che non lascia neanche il tempo di fare il check-in all’hotel, di respirare un’aria diversa dopo le 10 ore di volo, per subito abbracciarti di incontri, visite, degustazioni, cene, saluti.
Immensamente stancante. Enormemente gratificante. Ho dormito pochissimo in questi giorni ma non ho mai ceduto alla stanchezza perché la situazione proprio non lo meritava. E mi sono sentito ambasciatore di un paese amato, la mia Italia, la mia Toscana, in una nazione che fa della diversità culturale e dell’integrazione la sua forza. Ruffino è il primo marchio italiano qui in Canada e i nostri vini sono ampiamente presenti. Ho lavorato con polacchi, con maltesi, con altri italiani, con russi, da una o due generazioni canadesi, orgogliosi del loro paese d’adozione quanto fieri delle loro origini. Le macchine in queste giorni recavano con sé le bandiere sventolanti delle squadre ai Mondiali di calcio in Russia, a testimoniare quanti popoli qui convivano in un contesto inclusivo e sereno. E tutti erano mortificati per me, per l’Italia che non si é neanche qualificata, noi che siamo sempre fortissimi “a soccer”. Che scorno, che dispiacere per i tanti italiani, quasi tutti calabresi o friulani, che ho incontrato in questi giorni, che mi hanno raccontato come hanno vissuto tutte le trionfali partite del 2006, alcuni anche riemozionandosi o piangendo, che mi hanno fatto sentire a casa offrendomi ora un espresso fatto bene, ora un cannolo ripieno di ricotta, ora un piatto di polenta al gorgonzola, mentre io portavo loro le nostre storie di italiani: il gene della convivialitá, gli etruschi, le famiglie contadine che avevano poco e col poco si erano inventati momenti di grande dignità e piacevolezza, come il fiasco, le tavolate, i pranzi della domenica, il riuso degli scarti delle interiora delle bestie. E a raccontare queste storie di “successo” fra le difficoltà, i canadesi gongolavano perché le stesse, a migliaia di chilometri di distanza, che i loro nonni, o i loro genitori, o in alcuni casi loro medesimi, avevano vissuto, cercando la fortuna in America, quanto il Canada era poco più di una idea di paese fra le neve, il cielo e i grandi laghi.
Il primo giorno sono stato a Toronto downtown, per la degustazione del Chianti Classico, all’AGO, l’art gallery di Ontario, e la sera insieme ad altri sei produttori al Brown College, per una cena preparata dagli studenti di questa prestigiosa scuola di cucina.
L’indomani l’ho trascorsa attorno a Mississauga e Vaughan, degustando i vini Ruffino fra splendide e fornitissime enoteche gestite dal monopolio di stato, LCBO. Tante, tantissime degustazioni, ripetute più volte, fino a 4 per enoteca. La sera la parte più bella: la cena coi colleghi di Arterra e il piacere di rivedere tante persone, che adesso magari neanche lavorano più con Ruffino, che hanno sottratto tempo alle loro vite private per venire a cena e risalutarmi in un delizioso bistrò affacciato sul lago Ontario a Oakville downtown.
Oggi invece siamo stati nella zona di Niagara, visitando dei resort spettacolari in mezzo alla foresta canadese. Luoghi meravigliosi, dove anche qui ho incontrato titolari di ristoranti, camerieri, sommelier, tutti con la voglia di imparare, di conoscere, di apprendere le storie. Ero stanco, eccome, ma ogni volta sentivo la necessità di ritrovare le energie perché davvero ne valeva la pena. Anche quando, incontrando nel primo pomeriggio di oggi i titolari di un nuovo ristorante, successivamente a un pranzo monumentale e ricco, con la bocca ancora dal sapore di caffè, questi mi hanno preparato una polenta al gorgonzola e un polpo grigliato con patate per farmi sentire a casa. A casa sto tornando ora, Lufthansa permettendo, sorseggiando un tè verde in questa elegante sala di attesa aeroportuale per aiutare a rilassarmi (tanta adrenalina in corpo) e a digerire un po’. Grande esperienza in Canada. Ad maiora.