Mentre le scosse di terremoto continuano a funestare il centro Italia, per lo meno senza mietere vittime – ma se crolla la propria casa si muore un po’ comunque – io vivo egoistiche inquietudini e paure, come la scocciante febbrata di freddo e stanchezza che maledetta è affiorata in queste ore e che sto cercando di tamponare con la mia farmacia da viaggio. Al solito mi ci vorrebbe medicine per la psiche, visto che la gestione più complessa è riuscire a viverla bene: non semplice in viaggio lontano, coi giorni di Montreal davanti a me carichi di impegni e le nostalgie per le bambine che si stanno facendo forti. La piccola sala di attesa, quasi spettrale, dell’aeroporto cittadino Billy Bishop non mi aiuta: a breve volerò per Montreal, sperando di lasciare a terra gli umori neri di questa giornata. Toronto ho avuto la fortuna di vederla senza la pioggia di Vancouver, senza la gelida assolata fretta di Calgary, e con il piacere chiaroscurale, malinconico e profondo del muovermi da solo. Sono arrivato qui a Toronto nella east coast giovedì sera e sono stato accolto da una italocanadede dal rassicurante nome Laura, deputata alla concierge in uno degli alberghi più sontuosi, classici ed eleganti in cui abbia mai sostato, il Fairmont Royal King. La mia prima cena è stata in un pub a guardare coi locals la partita di hockey. Poi ho trascorso un giorno, il venerdì, “sul marciapiede”, a rappresentare al massimo del mio impegno Ruffino, fra Waterloo e Cambridge, due cittadine non distanti da Toronto. “Italians do it better”: qui tutti sembrano stravedere per noi. Non è così frequente essere benvoluti viaggiando per il mondo. In Nord America lo siamo e ogni volta che ci troviamo di fronte a persone che ascoltano le nostre storie abbiamo la gratificante sensazione di piacere, di rappresentare un paese straordinario (frase retorica, vero) e che qualcosa, non solo in un passato ancestrale di banchetti etruschi, simposi romani e galatei rinascimentali, ma anche nel presente della crisi e delle difficoltà siamo noi a insegnare il gusto del buono e del bello, quell’italian lifestyle che ormai sta sostituendo l’abusato made in Italy. E io ne sono proprio orgoglioso, della mia fiorentinità e della mia nazione. Eppure da certi posti noi italiani avremmo tanto da imparare: ho avuto modo di passeggiare, quasi venti chilometri, per le ampie vie di Toronto, in un sabato di mal di pancia che mi accompagna ormai fisso, e una strana tensione che di solito non mi appartiene. Toronto accanto ai maestosi grattacieli in vetro, all’elegante waterfront, alla storia del treni a vapore, ha anche molto di uno stile particolare, il vittoriano industriale. La zona che più lo incarna è il Distillery District, un po’ i meatpacking della grande mela un po’ i dock di Amburgo: due distillerie del primo novecento ora convertite in botteghe di artigiani, artisti e stilisti. Bello anche il mercato di St Andrews, dove ho assaggiato le mele del Niagara e le polpette di granchio.
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Grattacieli da cui svetta la CN Tower. |
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Un negozio di prodotti fetish. |
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Verso il Distillery District. |
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Il Distillery District. |
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Dettagli del Distillery District, con mezzi d’epoca ormai solo ornamentali. |
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Me. |
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Passeggiata in centro. |
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Piazza del Town Hall vecchio e nuovo. |
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Geometrie al tramonto. |