
Un sabato particolare, trascorso in gran parte insieme a Costanza, come non ci capitava da un po’. Le ultime vicissitudini familiari mi hanno ancorato alle bambine molto più di prima ma, se con Matilde il linguaggio affettivo é lo stesso, con Costanza – più selvatica, più felina, più imprevedibile della sorniona Matilde – purtroppo ho sempre trovato un po’ di resistenza a entrare in perfetta sintonia. Non oggi, quando ci siamo dedicati, con reciproca entusiastica empatia, io a lei, lei a me ed entrambi a vivere la campagna attorno casa: “Facciamo i contadinelli oggi, babbo!”
E così é stato: l’altra metà della famiglia urbanizzata in visita a Palazzo Davanzati di Firenze e noi vestiti con stivaletti, scarponcini, guanti da lavoro e tanto entusiasmo per alcuni lavoretti in giardino. Le ambizioni erano alte e, se non tutto, gran parte dei desiderata sono stati realizzati.

Intanto, per abbellire (ancor di più) lo splendido nuovo muro dell’ultimo terrazzamento, appena un po’ più spostate all’interno della sua cimasa abbiamo piantato delle piante da frutto nane: un melo nano, un pero nano e un albicocco nano e, fra i tre alberelli, abbiamo interrato dieci bulbi di giaggiolo. Fra terra da vangare, disossare, sostituire con del terriccio, concimare, ingrassare, annaffiare, é stato un continuo armeggiare e, malgrado il carattere sanguigno della Costi, che a ogni difficoltà reagiva scagliando via l’attrezzo a lei più prossimo, il risultato mi é parso buono: aspettiamo con fiducia le fioriture, che andranno a esaltare e a contrastare per cromie il muro sottostante e la facciata di Bisarno soprastante.

L’opera più ambiziosa (e che ci ha preso più tempo) é stata la realizzazione di una carciofaia. Siamo ghiotti in famiglia dei carciofi e già lo scorso anno avevo provato a seminarli e poi piantarli in una delle assolatissime porche dell’orto ma erano stati una delle poche colture fallimentari. Da coloro cui raccontavo del mio insuccesso, ricevevo sempre la solita risposta: “Pefforza, i’carciofo vole lo scolo e l’ombra”. Quindi quest’anno mi ero preventivamente studiato una collocazione ideale – ai piedi del primo muro di terrazzamento, quello con la cisterna di cemento del vino incorporata – e con la Mignola (alias Costanza) ci siamo messi a “lavorare” la terra dura e sassosa lungo la base del muro che separa l’aia dall’orto. Faceva caldo ma soffiava il vento, la terra era piena di sassi più o meno grandi, le buste del concime e del terriccio pese, le piantine di carciofo già un po’ sofferenti, con le lunghe foglie un po’ moscie, il rastrello per provare a tenere una certa complanarietá fra la carciofaia e l’orto…Un lavoraccio, indeed.
“Babbo sono stanchissima – andiamo a correre con l’aquilone?”. Eh si, in un tacito patto, ogni fatica contadinesca si é alternata a dei giochi fanciulleschi: l’aquilone (invero divertentissimo anche per me – un azzeccatissimo regalo di Natale) che oggi volava a meraviglia, un giro in bicicletta con la Mignola che si lasciava andare nelle discese per farsi prendere al volo da me (e talvolta arrivandomi e frenando in pieno costato); una passeggiata-avventura nei campi di grano (che colpo ci é preso quando si é levata in volo spaventatissima a pochi metri da noi una pingue fagianella); e anche una partitella calcio col pallone dei Superpigiamini, figure totemiche nella sua weltanschauung. “Dai babbo, dai, voglio diventare un fenomeno come te” – furbissima: sa già come blandirmi e infinocchiarmi”.

Insomma, ora mentre scrivo ho le gambe indolenzite e le mani rugose e screpolate, tutti dormono “il sonno dei giusti” (é stata bene anche la pars familiae in gita culturale, e a quanto pare hanno camminato non poco anche loro) e io pure mi appresto, spero – valeriana comunque assunta, così come l’antistaminico che un po’ stordisce anche – a un sonno rigenerante. E domani é un altro giorno. Intanto questo non lo abbiamo sprecato fra paure, pensieri, rabbie e malinconie assortite.
