“Voglio andare a vivere in città”

Proprio vero: la vita in campagna ci sta abituando a una continua interazione con piante e animali, a festeggiare messi ubertose, a delusioni per raccolti vanificati da un afide o da una gelata, a osservare nuove vite animali che ruotano attorno casa e a partecipare anche a momenti difficili, come nuove nascite e anche inattesi decessi. Che fanno star male.

In questi giorni avevamo salutato con grande gioia la schiusa di 8 uova e la nascita di deliziosi pulcini. La chioccia Frittella aveva avuto una cova complicata: l’avevamo cambiata di posto per non stare accanto alle altre galline, nervosette, e al gallo, indisponente, portandola al piano di sopra, in una stia che noi utilizziamo come sbratto. In una delle giornate, circa 30, di cova, si era allontanata un po’ per il suo bagno di terra e non era riuscita a ritrovare il reparto maternità per lei predisposto in meno di due ore…le uova, al mio tatto, mi erano parse fredde e avevamo davvero temuto che non si sarebbe concluso il processo.

E invece la scorsa settimana la bambine giubilanti hanno sentito dei labili cip cip e hanno scoperto i primi pulcini. In un paio di giorni 7 pulcini sono nati: 4 gialli – probabilmente di LC2 e di Frittella – 1 grigio scuro (Buon Brodo?) e 2 neri (qui direi che la colpevole è Omelette).

Tutto naturale, senza lampade, senza particolare cura da parte nostra: che bella la natura, che brava Frittella, che ruolo splendido hanno le chiocce, devote a far schiudere uova, pennuti altrui…

Siamo andati dal semaio a comprare il cibo per i pulcini. Abbiamo provato a prenderne in collo qualcuno, schermandoci dalla Frittella imbufalita e iper protettiva. Avevamo cominciato anche a studiare un po’ i nomi…

Poi, l’altro giorno, accade che Costanza vada a vedere i pulcini e rientri allarmata dicendo che tre, quelli gialli, quindi i figli di LC2 e Frittella, stanno dormendo di lato.

Mi precipito nel reparto maternità: uno dei tre pulcini era morto, gli altri due moribondi. Gli altri tre neri fortunatamente arzilli. Partono le più svariate ipotesi, alcune suggestive, altre parascientifiche, altre risibili, col coinvolgimento di tutta la famiglia, emotivamente molto scossa, e il contatto telefonico con un amico veterinaio: disidratazione? Freddo? Urti della mamma? Coccidiosi? Setticemia. Tant’è che i due pulcini superstiti stanno molto male e proviamo ad abbeverarli con una siringhetta d’acqua, a renderli alla mamma togliendo la posatoia, dove vi erano ancora tre uova, che secondo tutti ormai non si sarebbero più schiuse. Nel buttarle via, ci accorgiamo che una delle uova ha in realtà un becco che sporge e un gracido tremolio.

Sempre scortati al telefono dall’amico veterinario,  ci suggerisce di favorire la schiusa, “sbucciando l’uovo come si fa con le uova sode”. L’operazione è molto splatter, perché il pulcino dentro l’uovo è tutto bagnato, rattrappito su se stesso, del resto è contenuto in un uovo, e pezzettino dopo pezzettino emerge un pulcino vivo, ma non formato del tutto, con parti intestinali a vista…E poco dopo, direi fortunatamente, muore. Muore con grande dispiacere nostro tuttavia, e tanto troppo sangue e materia organica.

Nel frattempo anche gli altri due pulcini non si stanno troppo riprendendo e decidiamo di portarli dentro casa nostra. Prendo il tappetino riscaldante che utilizzo per pfar germinare i semi dei peperoncini, una scatola di cartone della bambola Lulù e li metto sotto una lampada alogena bella calda. Facciamo una miscela di acqua e sale per idratarli e li facciamo bere. Tutti e due.

Uno dei due muore poco dopo. L’altro sembra dar ampi segni di vita, scalcia con le zampette, siamo orgogliosi che il nostro intervento possa essere risolutivo, ci si prende in giro che con l’imprinting verremmo riconosciuti anche come pollo e polla di riferimento dal pulcino redivivo. E invece, un’ora dopo, dopo aver emesso due pio pio (“babbo – è un buon segno?” mi chiede Matilde preoccupata), anche il terzo pulcino, quarto nell’arco di poche ore complessive, muore. Gettando nello sconforto le bambine che avevano assistito inevitabilmente a tutte i nostri interventi. Costanza esclama anche: “Voglio andare a vivere in città”. Le chiediamo cosa intenda: “In città non muore nulla”.

Quel poco che mi è piaciuto di questa triste storia è che le bambine, dopo un primo momento di pianto e sconforto, abbiano riversato le loro attenzioni sui tre pulcini neri superstiti, che a oggi giocano e crescono vispi con la mamma Frittella. Hanno imparato a spostare l’attenzione. Sono piccoli insegnamenti che torneranno loro utili nella vita, credo.