Giovedi scorso sono stato invitato da European Association of Communication Directors – EACD nella Milano lisergica e abbagliante dei grattacieli di Isola, insieme a grandi professionisti come Francesca Burichetti, Eugenio Lanzetta, Alejandro Formanchuk e Lorenzo Brufani, per parlare dell’anima doppia della comunicazione, di dark PR, di green e pink washing, della deriva seduttiva e mistificatoria di certi messaggi, dell’AI asservita alla creazione di notizie false ma estremamente plausibili.
Anche il vino esprime questo doppio, questa sorta di coscienza bipolare. Ne “La molecola della civiltà” emerge spesso l’aspetto angelicato e demoniaco del vino, uno necessario all’altro, come una sorta di erma bifronte, di amore e morte, di riso e pianto.
Da un lato il consumo responsabile, insieme agli altri e per celebrare il piacere dello stare assieme, ben sappiamo che ha dato vita a raffinatissime forme di convivialità quali il simposio e il convivio. Dall’altro, l’eccesso, lo stordimento spesso in solitaria, l’ubriacatura ricercata, aprono sì a suggestioni affascinanti ma pericolose e potenzialmente distruttive, in cui l’uomo si scontra coi propri demoni. Un altro aspetto di questo doppio è legato alla coltivazione della vite, in cui al locus amoenus e all’idillio bucolico di tanta pubblicità, si contrappone spesso una realtà di agricoltura intensiva e poco rispettosa dell’ambiente, della biodiversità, soprattutto in epoca di global warming e fragilità naturali e climatiche. Anche la capillare distribuzione internazionale del vino, linfa vitale per il comparto, ha un’impronta marcata di acqua e carbonio, ed è oggi vessata da crisi energetica, costi aumentati e mancanza di materie prime. Insomma, come comunicatore, e come comunicatore del vino, una partitura complessa, di cui avere lucida consapevolezza (oh, anche il fuoco a toccarlo brucia ma scalda e cuoce), da cui io credo però si possano modulare melodie armoniosissime.