Siamo entrati nel 2020. Sopravvissuto alle solite malinconie che le feste imposte, a partire dall’insulsa notte di capodanno, contribuiscono ad acuirmi. Mi ritrovo a Vienna con la famiglia, per qualche giorno nella elegante e fredda capitale austriaca, patria dell’Espressionismo artistico che sembra perfettamente rappresentare i miei stati d’animo.
Il 2020 sarà un anno bello. Non potrà essere come il 2019. O gli ultimi mesi del 2018, il vero buco nero della mia vita. Me lo scrivo perché non voglio neanche dubitarlo. Provo a vivere al massimo, come non ho mai saputo fare, cercando anche di esorcizzare le cicatrici, nel mio caso perlomeno “solo” mentali, che ci troviamo addosso. Ma non é facile. Me lo accorgo dalle mie notti, spesso funestate da incubi vividi. O dalle paranoie che mi accompagnano. E dalla mancanza, terribile, irrisolvibile. E dalla solitudine. E dal continuo pensiero alla morte, ai morti, ai malati di gravi malattie, coi quali ho intessuto un costante rimuginio, e che credo mi abbiano segnato, da un lato acuendo il mio lato cupo e nichilista, dall’altro appetendomi di vita vissuta, di esperienze da provare, di ubertose affettività verso le bambine e la Laura. Senz’altro non sono diventato un filosofo né un saggio e non ho purtroppo sviluppato né trovato tensione mistico-religiosa. Dio o chi per lui non si é fatto vivo, o forse non me ne sono accorto. E comunque si é divertito molto con noi, con un certo sadismo, e la cosa non mi ha troppo divertito.
Si, sono giorni strani. Spesso intensi, ma con punte di spiazzanti paure, vorticose nevrosi, sentimentalismi quasi melensi. Oggi le opere del Secessionismo Viennese, l’espressionismo deforme, sofferente e terrigno di Schiële, la sensualità mortifera di Klimt con le sue donne ammaliatrici, mi hanno come colpito per la loro durezza. In un contrasto violento con le armoniose sale del palazzo Belvedere, rigoroso ed elegante, pulito nelle sue architetture quanto sporche di sofferenza mi sono parsi i dipinti ivi contenuti.
Buon 2020 a tutti.