Bangkok 2023.

Sono all’aeroporto di Bangkok, dopo i miei primi 5 giorni di questo viaggio in Asia, in partenza per la seconda tappa, la ogni volta stupefacente Singapore. 

Sono stati giorni intensi. Mi sembra di essere partito da una vita. E ho vissuto, provato, tutte le sensazioni dicotomiche che cerco nel viaggio. Mi sono sentito solo, spaesato, malinconico, ma anche fiero di aver sfidato me stesso, le mie insicurezze e di essermi aperto a tante novità, a posti nuovi, a esperienze molto diverse dal solito, di aver respirato, sentito e guardato con tutto l’entusiasmo possibile. Bangkok non é una cittá facile, ma ti seduce con la dolcezza dei suoi abitanti, i contrasti fra lo storico e il moderno, e soprattutto coi suoi cibi capaci di creare sintesi fra sapori apparentemente inconciliabili: l’aspro, il piccante, il dolciastro, l’umami. Senza parlare dei colori, dato dall’utilizzo di frutta e fiori. Suggere una noce di cocco, e da lì farsi accogliere dal pad thai, dagli stir fry, dalle zuppe di noodles, dal morning glory, una specie di cavolo nero saltato in padella con anacardi, lime e chili, dal tom yum, il loro delizioso gambero di fiume, dal barbecue satay, sempre tutto con questo agro-dolce, con questo speziato-citrico, con la guarnitura o del petalo di orchidea o del favoloso ed edibile butterfly pea flower, dal mango in tutte le sue declinazioni e tutta la frutta tropicale, alcune stranissima, esperibile sia in ristoranti che nello street food, presente in ogni via, é stata una chiave di volta squisita e quasi materna per entrare in sintonia con la Thailandia e le attivitá di lavoro che si sono succedute. Non ho avuto un grande impatto con la città: non ho assorbito per niente bene il fuso orario, ho avuto beghe di pancia, insicurezze e un senso di smarrimento diffuso ma pian pianino, complice appunto il cibo, le carezzevoli blandizie della cittá e i colleghi che ho incontrato qui, sono riuscito a sentirmi parte del tutto di Bangkok. La parte di lavoro è stata molto proficua e ritmata: masterclass, degustazioni, l’Icon Dinner in una favolosa cena al fresco in una atmosfera fiabesca da mille e una notte, il tutto sempre appunto in strutture di gran lusso e fascino, dal Continental al Siam Kempinski al Grand Hyatt Erawan, mi hanno permesso di presentare bene i vini e il nuovo riposizionamento di Ruffino. Poi ho avuto anche delle occasioni per vedere, per rivedere (era la mia quinta volta dal 2015) la cittá, i suoi quartieri, dai mall del lusso alla zona storica lungo il fiume, il Wat Arun, il Palazzo Reale, il budda reclinato, le atmosfere e i profumi sprigionati dai venditori di cibo a ogni angolo, dalle creme, dalle essenze, dagli oli, dai saponi – ho preso le bath bombs per le Upi anche questa volta -, dai monaci in arancio che non di frequente si incrociano. E di sabato ci siamo concessi, io e la mia collega Polly che mi segue da Hong Kong, la possibilità di visitare uno dei più strutturati e affascinanti floating markets. Dopo un viaggio di circa due ore verso sud, attraversando piantagioni e fattorie di cocco, saline, fabbriche, siamo arrivati in questa cittá in cui si svolge ancora, integro, il tradizionale mercato direttamente sulle navi, delle piroghe che ti si avvicinano proponendoti tessuti, cibo, artigianato vario. Un’esperienza straniante, un viaggio nel passato, che ho concluso con un caffe nero thailandese voluttuoso come quello che avevo visto. Si fa sempre più pressante la voglia di portarci qui anche la famiglia.