Gli imprevisti del viaggio.

Sono in una camera di un lussuoso hotel di Singapore. In attesa di cominciare una lunga giornata di lavoro su questa meravigliosa città costruita sulla linea dell’equatore.

Sono stordito, ho dormito poco e mangiato niente, se non un caffè di dubbio gusto ma certa intensità dalla caffettiera a cialde: ieri durante la sua partita di calcio, Costanza ha avuto un piccolo blocco del respiro e conseguente male al petto. Molto, tanto spavento ma non dovrebbe essere niente di grave: si è risolto dopo poco. Peraltro era già accaduto un anno fa, sempre in una partita di calcio al primo freddo. E tutti i controlli avevano dati esiti fortunatamente negativi. Questo episodio però più intenso: faremo altri controlli e cercheremo di capire meglio. Però, che situazione. Che frustrazione essere lontano dalla famiglia quando questa avrebbe bisogno di te. Una prigionia.

La sensazione di impotenza che provo a migliaia di chilometri da lei, dalla mia famiglia, è molto forte. Non è una situazione che richiede il rientro immediato e io ho ancora diversi giorni di lavoro da svolgere.

Non è la prima volta che durante i miei viaggi succedono cose non piacevoli. Nel 2016 si ebbe una prima avvisaglia, una spia, di quella che sarebbe poi diventata la malattia della Laura: un episodio eclatante e io ero in Quebec e non potevo fare niente. In Norvegia nel 2015, qui eravamo in vacanza con tutta la famiglia e ho ricevuto la diagnosi del babbo, che da lì a pochi anni avrebbe confermato il suo esito infausto. Nel 2018, a gennaio, abbiamo dovuto ricoverare Costanza per un vomito che non smetteva. Ed ero a Copenhagen. Altre volte ho viaggiato linfonodi gonfi, come in Asia nel 2013. Nel 2010 in Marocco sanguinamenti vari della Laura e a Fez ci precipita in camera mentre si dormiva un lampadario a pendagli, andando in frantumi. Ci avesse colpito…O con raffreddore violentissimo nel 2014, a Hong Kong. O all’indomani di un dolorosissimo lutto, come quello dell’amico Edo nel novembre 2016. Ci sono state gastroenteriti, presentazioni fatte con febbre alta. In Croazia nel 1997 a 20 anni sono stato ricoverato in un ospedale fatiscente di Pula con una gastroenterite acuta. Quando da bambino mi portavano in gita, vomitavo per la tensione. Una volta, alle elementari, la visita al Museo Archeologico di Firenze fu una tregenda, con io che vomitavo accanto ai reperti.

Viaggiare è essere lontani dalle zone di confort, dal nido in cui si cercano rassicurazioni. Oltre a questi, sennò mi verrebbe da dirmi in maniera molto netta di stare a casa, ci sono state decine di altri viaggi tutti straordinariamente positivi, in cui a un momento di paura, di smarrimento, di essere lontano dalle proprie rassicurazioni, subentra poi una crescita, una evoluzione, una serenità dalle difficoltà. In viaggio dico sempre di avere una lente privilegiata, ma è una lente che acuisce anche le paure, lo smarrimento, le difficoltà, perché ci si deve completamente affidare ad altro o ad altri, e, nel mio caso, devo per forza cedere la mia attitudine, la mia mania di controllare tutto. E dall’esaltazione quando le cose vanno bene, è un attimo a precipitare nell’ansia e nel panico quando qualcosa va storto. Ci si autoesplora, si vivono sensazioni così forte da tornare cambiati. E quello che ho sempre avuto, cioè una tendenza a spaventarmi, un carattere fragile, una certa ipocondria, emergono con prepotenza, soprattutto lontano dagli ancoraggi classici.

Ma non ho mai rimpianto nessuno di questi viaggi. Un po’ come la vita. Tende a immalinconirmi, mi intristisce, mi ha debilitato di assenze e mancanze ma mi fa anche provare luminosi momenti di intensa felicità.