Cornetto e cappuccio.

Sono atterrato a Malpensa dopo circa 16 ore di volo, a cui si aggiungono le circa 7 ore trascorse all’aeroporto di Taipei. Malgrado le incontestabili comodità del viaggio a bordo della splendida compagnia di bandiera taiwanese Eva, il volo non finiva davvero mai. A un certo punto, nel chiuso pressurizzato del veicolo, in piena notte, nel silenzioso baluginio delle soffusi luci al led, anche la testa ha viaggiato e si è sentita altrettanto imprigionata: “E se stesse succedendo qualcosa in Italia? A casa? Io come posso aiutare?”. Pensieri ruminanti, oziosi, stupidi. Ho tamponato con due, tre film consecutivi. Un po’ di sonno accidioso e accaldato. Fintanto che, finalmente, sono iniziate le operazioni di atterraggio.

Scendendo dall’aereo, ho organizzato il mio trolley, agganciandoci in precario equilibrio anche le mie giacche e lo zaino del PC e, gravato da questo fardello di viaggio, ho messo finalmente i piedi a terra in una Malpensa ancora deserta e gelida. Che cambio climatico. Pieno inverno lombardo. Ancora buio fuori. All’immigrazione sono stato smistato da due carabinieri, in italiano (ahhh bene), alla fila più veloce. In realtà, erano tutte libere. Da lì mi sono recato all’area dei treni per prendere il Malpensa Express. Ho anticipato di mezz’ora sulla tabella di rientro e questo mi ha dato un ulteriore slancio. In attesa, freddo, freddissimo, e altri viaggiatori stanchi e assonnati, di rientro da altre destinazioni del mondo, che parlavano in Italiano del film della Cortellesi, “bello ma troppo severo per l’uomo, non sono tutti così”.

Sul treno, nel mentre che sfilavano tutte le stazioni lombarde e man mano che la giornata si faceva più chiara – giornata grigia di pioggia battente e pochi gradi sopra lo zero – ho cercato invano di anticipare anche l’Eurostar per Firenze Santa Maria Novella. Tutto pieno: del resto è l’8 dicembre, ho pensato. Crucciato da come tentare di prendere comunque quel treno, che mi avrebbe garantito l’anticipo di un’ora di rientro – che col senno di poi, dopo 12 giorni fuori, cosa avrebbero cambiato? – ho compiuto gli ultimi venti minuti di Express immalinconito e con la sensazione che fosse ancora più freddo.

Arrivato a Milano Centrale ho cercato di fare colazione, per poi confrontarmi, come da suggerimento della professionista di Trenitalia che ho trovato in stazione Centrale appena sbarcato dall’Express, dal capotreno del treno su cui avrei voluto salire: “Sarà lui a darti o meno l’ok”.

Colazione! Tutti i bar erano pienissimi, con code interminabili. Allora, col mio trolley stipato di portagiacche e zaino, ho sceso le scale e mi sono rifugiato in un baretto appena fuori stazione, dove la fila mi è parsa più breve.

Un po’ di attesa e poi ho ordinato cornetto alla crema e cappuccio. L’odore del caffè nel chiuso vaporoso e indaffarato del bar mi ha dato la scossa. In positivo. Quel profumo e il sapore della pasta dolce lievitata, voluttuoso poi della crema, e l’onda calda del cappuccino che mi ha carezzato il palato, è stato il mio bentornato in Italia. Ho letteralmente rallentato la masticazione e ho sorseggiato a piccoli sorsi il cappuccino.

Poi mi sono rimesso in moto verso il capotreno, verso il binario adesso palesato, leggero e scaldato. Sentivo la piega giusta, il corso degli eventi di nuovo verso di me. E infatti il capotreno mi ha assegnato un posto disponibile e ho fatto un viaggio pulitissimo verso Firenze Santa Maria Novella. in treno ho guardato dall’IPAD i cortometraggi di Wes Anderson tratti dalle favole di Dahl e mi sono alienato in una dimensione sognante, mentre il treno superava, come comunicato dai monitor, i 300 chilometri orari.

Firenze Santa Maria Novella. Un taxi verso Firenze Sud e l’incontro con la famiglia che è venuta a prendermi al Viola Park. Un forte abbraccio a tutte, la macchina col riscaldamento a 24 gradi, e “Babbo – si va a comprare l’albero di Natale?”. Sono davvero a casa.