Oggi è una giornata uggiosa. Piovizzola, fa freddo e soffia un ventaccio grigio. Si è riaffacciata anche una questioncina di salute che come sempre riesce a spaventarmi e a tirarmi giù, riprecipitandomi fra i recessi malinconici e ipocondriaci del mio io. Non il miglior approccio per le tante, tantissime questioni che mi circondano: le mie bambine e la loro crescita, il lavoro che chiede continuamente nuove idee e immediati risultati e, ovviamente, il restauro di Bisarno che mi avvolge fra le sue mille spire, molte dolci, dolcissime, altre amare, amarognole. Questa settimana, una settimana atipica di ritorno al freddo quasi invernale, é stata scossa da un piccolo cedimento strutturale fra il primo e il secondo piano della torre. Racconto l’accaduto al passato, come a scacciare, esorcizzare, rimuovere l’episodio, anche se la questione è ancora urticante e la messa in sicurezza in emergenza del crollo attraverso una grande longarina di ferro, un paio conficcato fra i due lati dell’apertura, ancora da rifinire, murare e nascondere. Ma come si è arrivati a questo? La casa aveva all’altezza del crollo una spanciatura, un “bozzolo”, una pancia, e nel cercare di attenuarla, parte della zona interessata é collassata dopo la rimozione di un paio di pietre, trovando una naturale conclusione nell’architrave a testa di un sottostante finestrone che ha limitato il danno. Il materiale murario a collante della torre, del resto, é vecchio di ottocento anni, eroso dal tempo e nelle fessure fra pietra e pietra si sono insinuati nidi di uccelli, storni, merli e piccioni, che hanno riempito di calde pagliuzze le strutture, beccando via quel già poco di calce, di muratura, rimasta a legare le pietre e i mattoni. Imprevisti che possono capitare, che mi sono stati riferiti solo a giornata conclusa, tanto che se ne fossi stato edotto non sarebbe cambiato il corso delle cose e il mio supporto non avrebbe portato altro che ansie e nervosismo.