“La cosa migliore da fare quando si è tristi”

Quasi il 10 agosto. Chiuso in camera in una giornata fortunatamente non torrida. Molte, moltissime ore a studiare per il Diploma WSET. Sono giorni, settimane che mi sono ingaglioffato in questo bellissimo demone dello studio.

Uno studio matto e disperatissimo. Era una locuzione che Leopardi si auto attribuiva, dedito, anzi – ossessionato, dallo studio. Studiare è bello, ma può anche rappresentare un qualcosa di tentacolare, tentatore, alienante. Un angelo e un demone.

Eh si. In questo atipico 2023 mi sono rimesso a studiare. E a insegnare. In una catena virtuosa che mi sta recando soddisfazioni ma, soprattutto, facendo tornare indietro di 20 anni fa, 25 per l’esattezza. Agli anni di Lettere. Mi fa ritrovare un Francesco ormai cambiato. E mi commuovo a rivedermi e a percepire fisicamente oggi le sensazioni di ieri. Sulle pelle proprio. Un viaggio nel tempo attraverso lo stesso medium, la scatola chiusa di una stanza e di me chino su dei testi. Di quando estasiato dalla bellezza delle materie che stavo imparando, dal suono sublime dei poeti, dal ritmo armonico della loro prosa, del tonitruante rigore del loro pensiero filosofico, divoravo le giornate leggendo, studiando e poi ancora leggendo, magari un libro per mio diletto, o un film – i mercoledì c’erano le riduzioni, i venerdi al secondo spettacolo etc. – senza soluzione di continuità. Ovviamente l’Università se ne è andata in un soffio di introspezione, luci basse nella camera, miopia galoppante, non tanti amici non tante fidanzate, ma tutti e tutte estremamente vissute e profonde, un sacco di trenta e lode e una soffertissima tesi a smontare il mito di Pirandello, non tanto la gigantesca figura dell’autore (attraverso la quale ho poi scoperto la Sicilia), ma quanto la stesura del suo saggio più famoso, L’Umorismo. Dopo l’Università, il master, il copywriting, mettere a fuoco il dono della scritture e delle storie, dove paradossalmente le mie letture, le humanae littarae, la mia formazione apparentemente fragile (“mica è ingegneria, mica è medicina”) mi ha agevolato l’introiezione, l’assorbimento, di tanti altri concetti, e poi gli anni del lavoro, il vino in cui sì si sono sfilacciate le mie letture, i miei studi, ma senza mai eradicarsi. Sono stati la mia coperta di Linus, più nell’armadio che addosso. E oggi, aver ritrovato per il Diploma WSET, complesso, difficile, lungo, con materie nuove, che mi sfida, mi apre a conoscenze nuove, multidisciplinare, questa dicotomica, doppia, complessa sensazione, un giorno faustiana (l’onnipotenza arrogante del sapere acquisito e il piacere quasi fisico che dona) e un altro giorno socratica (la disperazione nichilista del so di non sapere nulla: ogni giorno più studio più dovrei studiare e approfondire), mi sta facendo davvero bene. Mi àncora. Oltre ad arricchirmi di contenuti, peraltro in lingua inglese.

Mi aveva sempre colpito questo dialogo del film “La spada nella roccia” della Disney:

“La cosa migliore da fare quando si è tristi”, replicò Merlino, cominciando a soffiare e sbuffare, “è imparare qualcosa. È l’unica cosa che non fallisce mai. Puoi essere invecchiato, con il tuo corpo tremolante e indebolito, puoi passare notti insonni ad ascoltare la malattia che prende le tue vene, puoi perdere il tuo solo amore, puoi vedere il mondo attorno a te devastato da lunatici maligni, o sapere che il tuo onore è calpestato nelle fogne delle menti più vili. C’è solo una cosa che tu possa fare per questo: imparare. Impara perché il mondo si muove, e cosa lo muove. Questa è l’unica cosa di cui la mente non si stancherà mai, non si alienerà mai, non ne sarà mai torturata, né spaventata o intimidita, né sognerà mai di pentirsene. Imparare è l’unica cosa per te. Guarda quante cose ci sono da imparare.

Andrà bene, andrà male, non lo so, ma resto ottimista di natura. E’ un percorso di diversi anni e sono fiducioso di farcela. Sono spaventato, un po’ arrugginito allo studio, alla scrittura a mano (maledetti cellulari), alla corretta esposizione in inglese, e inoltre non posso non osservare di avere sacrificato qualcosa. Anche questo una dialettica inevitabile del corso delle cose. A 20 anni non c’erano bambine (che sono un dolce impegno prima che la crescita me le porti via), non c’era moglie, non c’era un lavoro altrettanto fagocitante di impegno “massimo e disperatissimo”, non c’era neanche la stanchezza neuronale di un quarantaseienne che ne ha vissute, ma tutto sommato, per quello che sono, per ottemperare al mio carattere, per nutrire la mia anima di quello di cui ha bisogno per la propria serenità, per le emozioni che ne traggo, penso di aver fatto una scelta giusta, vada come vada. E adesso, a studiare. Il primo appello è il 14 agosto a Londra!