A tutti piace l’agosto. Il mare. Il caldo. Il cocomero. Le vacanze. A me no. Ogni anno mi trovo a combattere una strisciante malinconia esacerbata da questo palese senso di necrosi e caduta che agosto reca con sè. Tutto mi pare in limine mortis, preconizzare la fine ed esorcizzarla con gli eccessi: una carnevalata della natura fatta di temperature esagerate, frutti turgidi di colore e profumi, arsura e siccità e quando piove grandine e ira, equilibri assenti, danze sfrenate. Il canto del cigno prima della sua dipartita. Il Barocco in arte. Lo stucchevole e l’eccesso. La surmaturazione dolcissima del fico, ma già marcescente. Un virtuoso equilibrista su una corda tesissima. La maschera di un clown che esaspera il sorriso per non piangere. La violenza di insetti e vermi e formiche e mosche e zanzare che brulicano, rosicchiano, ronzano prima che tutto taccia. Quel non so che che attanaglia la domenica sera a occhi chiusi a letto per prendere sonno.
Io proprio non lo sopporto. Ho imparato a scendere a patti con tante cose. Ma l’agosto no. Lo sento un mese tragico. Le stragi. I ponti crollati. Le notizie di cronaca nera che trovano più spazi che mai: il caldo dà alla testa, si impazzisce, vengono fuori le insoddisfazioni, le coppie si lasciano, i litigi sono più furibondi.
E, per noi, il 14 agosto 2018 iniziava una nuova vita, a seguito di una diagnosi ricevuta esattamente mentre crollava il ponte di Genova, in una giornata di violento temporale dopo ore di temperature elevatissime. Forse, odiando agosto si può imparare ad amare gli altri 11 mesi e la vita in generale? Dalla tristezza che genera questo mese, e tante situazioni che la vita offre, imparare a godersene i controcanti, i chiari dopo gli scuri?